Lo yoga è una dottrina di origine indiana che poggia le sue basi su pratiche ascetiche e meditative millenarie che hanno come fine ultimo l’unione dell’anima individuale con la divinità. Spesso nel mondo occidentale lo yoga viene inteso esclusivamente come un insieme di esercizi di carattere fisico ma in realtà la sua vera essenza è di natura profondamente spirituale.
Etimologicamente, la parola “yoga” significa congiungere, soffocare, attaccare, unire, legare (dalla radice sanscrita yug). Lo yoga ricopre dunque l’accezione di domare, di dominare: per estensione l’espressione si è naturalmente applicata al lavoro fisico messo in atto dai cultori di questa disciplina. Nel corso del tempo, il termine yoga ha iniziato a denotare non soltanto gli esercizi ascetici tradizionali (tapa) ma anche l’insieme delle discipline psico-mentali esercitate dai mistici indiani per ottenere la liberazione, l’unione con la divinità.
Del resto il senso tradizionale conserva la sua preponderanza. La maggior parte dei testi che trattano dello “yoga classico” utilizza questa immagine: il corpo è un carro trainato da cavalli riluttanti (gli organi di percezione e di azione), il cocchiere è il pensiero, lo spirito. L’anima (Atman) è il passeggero del carro, votata suo malgrado alle sventure di un viaggio (la vita mondana) che essa non ha mai desiderato compiere.
Il lavoro corporale, impegnato attraverso le molteplici ascesi dello yoga, deve in teoria permettere al cocchiere (il pensiero) di constatare dal vivo la comoda situazione del suo passeggero (l’anima) e deve contribuire a frenare e poi rallentare la corsa sfrenata del carro (il corpo ed i sensi). Questo arresto del carro (che corrisponde esattamente al dominio dei sensi e dei pensieri indisciplinati) deve poi offrire “naturalmente” all’anima imprigionata la possibilità di abbandonare questo movimento al fine di unirsi a Dio ovvero al Brahman universale.
Assumere delle posizioni con il corpo, ottenere il controllo della respirazione, praticare la concentrazione mentale scordando quella prospettiva spirituale è segno di incoerenza se non di assurdità. Perché prodigarsi a frenare la corsa del veicolo (il corpo) se si finge di ignorare la presenza del passeggero (l’anima)? Gli esercizi yoga sono soltanto mezzi preliminari, preamboli corporali. Devono necessariamente continuare con una triade contemplativa: concentrazione, meditazione, assorbimento.
Lo yoga è un approccio corporale la cui pratica costituisce un preambolo per l’unione mistica fra l’anima “individuale” e la divinità. Avere la pretesa di insegnare lo yoga senza tenere conto di questa prospettiva metafisica sarà un’impresa chiaramente votata al fallimento (quale che sia la sincerità dei maestri occidentali). La nozione del maestro spirituale (guru) condiziona la riuscita dell’impresa. Senza la direzione di un autentico maestro, che abbia già egli stesso compiuto la totalità del percorso yoga, la pratica corporea può rivelarsi non soltanto inutile e vana, ma psicologicamente pericolosa.
Lo yoga sveglia energie assopite, il cui brutale scatenarsi rischia di provocare danni notevoli all’interno di un corpo insufficientemente preparato. Se si tiene conto di questa necessità (presenza di un istruttore competente), l’assenza di maestri qualificati in Occidente (tranne qualche eccezione) inficia la maggior parte degli esercizi corporali designati sotto il termine yoga.
La ginnastica importata in Occidente sotto il nome di Yoga, è certamente gradevole, forse benefica, ma bisogna ammettere che non costituisce altro che un preambolo, timido e goffo, alla vera scienza psico-fisiologica tradizionale. Non si può impunemente sviare il senso delle parole, prestando loro significati estranei alla tradizione da cui derivano. Si può certamente assumere determinate posizioni, imparare a controllare il respiro, presentire certe manifestazioni mentali proprie della concentrazione e della meditazione; questi tentativi tuttavia rimangono largamente al di qua del “vero” yoga, obbligatoriamente praticato sotto la sorveglianza di un guru.
Quante persone si esercitano con le tecniche yoga in armonia con lo spirito tradizionale? Bisogna in effetti sapere che lo yogin indiano deve pronunciare dei voti di rinuncia e di distacco (sannyasa), abbandonare la propria famiglia, il proprio lavoro, la propria posizione, ritirarsi in un luogo naturale (foresta o montagna). Deve inoltre rimanere casto, onesto, giusto. Evidentemente, la maggior parte di noi non saprebbe sopportare questo modello di vita: la rinuncia deve avvenire senza dolore, senza sofferenza, con naturalezza. Ci si può però avvicinare alla prospettiva aperta dagli esercizi spirituali dello yoga senza tuttavia rinnegare la propria condizione sociale e familiare.
Ma in questo caso non si deve aspettare altro che una certa serenità transitoria. Lo “yoga tardivo” nelle sue diverse manifestazioni, è riuscito a superare le differenze che separano tradizionalmente gli yogin rinunciatari dagli uomini d’azione. Queste trasformazioni (l’ascesi diventa una disciplina più generale) hanno contribuito ad una certa democratizzazione spirituale dello yoga d’élite, un tempo riservato agli asceti.
Gli yoga contemporanei propongono una via mediana più accessibile agli uomini “moderni”: ormai il fine supremo, la realizzazione spirituale, può essere ottenuta da tutti. Senza il desiderio di Dio, lo yoga perde la sua essenza. Lo yoga e gli esercizi corporali che lo accompagnano si fondano su una constatazione: noi non siamo liberi, le nostre azioni ed i nostri pensieri sono assoggettati, ridotti in schiavitù.
I nostri atteggiamenti, sia mentali sia fisiologici, sono direttamente o indirettamente derivati da condizionamenti psicologici (educazione, ambiente familiare), culturali e religiosi (convenzioni collettive che si riferiscono a costumi, morale, rappresentazione storica dominante). Noi generalmente ci attribuiamo la responsabilità e la scelta delle nostre azioni, mentre esse sono invece influenzate dal retaggio socio-culturale.
Questi condizionamenti sono relativamente facili da circoscrivere. Rimanendo attenti, possiamo scoprire l’origine di un pensiero, di una decisione, origine profondamente sepolta nella psiche. Ma esistono altri condizionamenti più oscuri, più occulti. Si tratta di impregnazioni, di residui, di latenze inconsce (vasana o samskara) la cui natura sconvolgente si radica nel passato, nelle vite precedenti. Questi condizionamenti “personali” e queste impregnazioni “collettive” formano, senza che noi lo sappiamo, un’armatura, una corazza psico-fisiologica con la quale noi ci identifichiamo costantemente. In realtà, noi siamo manipolati come marionette dal gioco misterioso di queste innumerevoli influenze che si disputano la supremazia. Questa situazione competitiva crea conflitti incessanti, sfibranti: noi veniamo lacerati, tirati a strappi in tutti i sensi da condizionamenti opposti.
La domanda di base della pratica yoga è quindi la seguente: si può recuperare la condizione umana da questo “traffico” di influenze, generate dall’esperienza individuale e collettiva? Esiste qualcosa al di là della struttura conflittuale? La risposta dello yoga è “si”. Sussiste, al di là delle variazioni psichiche episodiche, una coscienza lucida, inalienabile, eternamente libera dai condizionamenti. Le tecniche messe in atto dai diversi yoga tendono tutte a riscoprire la natura innata, originale, non intaccata dai rapporti conflittuali mantenuti dalla produzione dei vasana e dei samskara.
Si può definire il vero yoga come un apprendistato arduo e paziente, una scienza di decondizionamento. Lo yogin lavora sulle impregnazioni, sui residui accumulati dalla memoria, al fine di distruggerli, di bruciarli e di decomporli. Ma la libertà interiore non si acquisisce senza difficoltà, tanto profondamente sono ancorati nel subconscio la potenza occulta e il radicamento di questi condizionamenti.
L’impresa yogica, una volta iniziata, non può essere interrotta. Non si possono impunemente risvegliare queste forze misteriose della psiche, e questa è la ragione per la quale la presenza e l’aiuto di un maestro sono indispensabili alla realizzazione definitiva. Prima di sparire, di dissolversi nella coscienza libera dell’adepto, i condizionamenti possono infatti manifestare una grande virulenza. Questa è la posta del vero yoga: la liberazione definitiva delle forze inconsce che agiscono a spese della presenza impersonale.
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