Gli esperti di incantesimi e fatture definiscono “colpo di ritorno” il ritorcersi dell’effetto negativo di un sortilegio contro colui che lo ha ordito. Gli operatori dell’occulto con maggiore esperienza sono soliti mettere in atto tutta una serie di precauzioni per evitare ogni possibile rischio di cadere vittime dei loro stessi malefici.
Stando alle teorie che regolano l’iter delle “fatture” e del “malocchio”, una volta individuata la presenza e la natura di una fattura, l’esperto chiamato in causa per scioglierla, opera usando una forza uguale e contraria. Le forze negative si ritorcono sulla persona che ha voluto la fattura provocando in lei i danni che erano destinati alla vittima. È da sottolineare che il danno non si ritorce su chi ha elaborato i rituali per mettere in atto il maleficio, ma sulla persona che ha chiesto di farlo. In sostanza è il mandante, non l’esecutore, che subisce il “colpo di ritorno“. Questo perché l’operatore ha cura di cautelarsi, nel manipolare la fattura, con protezioni specifiche, che lo sottraggono a ogni attacco: il cerchio magico, gli specchi devianti, gli specchi multipli, i simulacri protettivi, etc, sono tutti accorgimenti all’ombra dei quali il fattucchiere opera i suoi incantesimi.
Un caso tipico di fattura con colpo di ritorno è un episodio avvenuto molti anni or sono in un paesino del Veneto. Si tratta di un fatto ampiamente testimoniato, che accadde ad Arzignano, una località in provincia di Vicenza, nel 1908. In un podere distante una quindicina di chilometri dal paese vivevano i proprietari, che avevano dato a mezzadria parte della terra a un’altra famiglia di contadini. Poiché avevano deciso di cambiare i fittavoli per sostituirli con una coppia più giovane, intimarono ai mezzadri di lasciare il lavoro. La cosa non fu accolta di buon grado dai dipendenti, che si sentirono ingiustamente colpiti e non vollero andarsene.
I padroni avevano un bambino in tenera età, di circa sei mesi, che fino a quel momento si era mostrato sano e normale. Proprio il giorno seguente a quello nel quale era avvenuta la violenta lite tra padroni e mezzadri, il bambino cominciò a dare strani segni di misteriosi malesseri. Ogniqualvolta lo si adagiava nel suo lettino, si metteva improvvisamente a gridare a squarciagola, con un pianto asciutto e convulso, senza lacrime. Non vi era alcuna maniera di farlo smettere se non sollevandolo dalla culla e prendendolo in braccio. Solo così cessava di piangere e dopo qualche minuto ritornava tranquillo.
Dopo poco il piccolo cominciò a risentire della situazione: la mancanza di riposo gli procurava disturbi di digestione ed uno stato latente di nervosismo. Il dottore, chiamato a visitarlo, non seppe far altro che diagnosticare un disturbo nervoso, di cui però non riusciva a scoprire la causa. Nel cortile della fattoria, dove abitavano i padroni, vi era l’abitazione di un’altra famiglia di agricoltori, loro parenti. Fu proprio una donna di questa famiglia, a suggerire l’idea che lo strano comportamento del bambino fosse provocato da una fattura. Consigliò la madre di fare un attento esame al lettino dove dormiva il piccolo e in particolare alle pareti di contatto.
Il giaciglio fu sottoposto a una minuziosa indagine. Nel materassino di piume furono trovati due piccoli e misteriosi rotoli, del diametro di circa cinque centimetri ciascuno, composti da piume intrecciate a forma di ghirlanda. Le piume erano avvolte a una ad una e legate con dei capelli bianchi lunghissimi. La scoperta impressionò i familiari che, in preda allo sgomento, pensarono di rivolgersi a qualche esperto in fatture. Il giorno seguente informarono della cosa un loro conoscente, che veniva chiamato in paese “il guaritore” perché faceva appunto segnature, conosceva le “erbe magiche” e si occupava di occultismo.
Costui aderì all’invito e si recò a casa loro, si fece raccontare i fatti nei minimi dettagli, esaminò le due coroncine di piume, e poi sentenziò che si trattava senza dubbio di una “fattura” perpetrata ai danni del bambino. Si prese l’incarico di intervenire nella vicenda e si accinse subito a operare la “controfattura”. Ordinò di accendere un fuoco nel camino e di alimentarlo continuamente il più possibile. Fece mettere sul fuoco un calderone pieno d’acqua, nel quale furono gettate le due piccole ghirlande di piume. Il fuoco ardeva e veniva ravvivato di continuo. L’acqua cominciò a bollire e dopo cinque ore di fuoco intenso era completamente evaporata. Sul fondo erano rimaste le due ghirlandine ormai completamente rinsecchite.
Il guaritore disse di continuare ad alimentare il fuoco e di attendere. L’attesa non fu lunga. Non erano passati dieci minuti, dal momento in cui l’acqua era completamente evaporata, che si udirono giungere dall’esterno gemiti e lamenti, proprio alla porta d’ingresso. Si precipitarono ad aprirla e sulla soglia, accasciata, sfigurata in volto dalla sofferenza, ansimante e sudata, trovarono la moglie del mezzadro che, con un filo di voce, li supplicò di spegnere il fuoco e di far cessare quel tormento, perché non poteva sopportarlo. I presenti, allibiti, videro che aveva il ventre gonfio in modo anormale. Ella disse, con voce rotta, che aveva un estremo bisogno di urinare, ma che qualcosa glielo impediva, facendola soffrire atrocemente. Il fuoco fu spento e la donna si precipitò al gabinetto, dove poté finalmente liberarsi.
Il guaritore spiegò che quella era la prova che la moglie del mezzadro era la responsabile della fattura nei confronti del bambino: aveva infatti subito il “colpo di ritorno“. Secondo la spiegazione del guaritore l’acqua evaporata dal calderone sarebbe stata assorbita dalla donna colpevole, che non poteva espellerla fino a che fosse rimasto attivo il sortilegio messo in opera da lui. Infatti, spento il fuoco che era stato l’elemento operante della controfattura, la donna aveva potuto liberarsi. Si era compiuto così il ciclo magico e le forze messe in opera dai rituali, ritrovata la loro collocazione naturale e il loro equilibrio, avevano cessato di agire sulle persone.
Stando alle “regole della psicobolia”, due sono le spiegazioni: la mezzadra aveva fatto ricorso a una terza persona, la cui “potenza magica” era inferiore a quella del guaritore oppure non aveva saputo cautelarsi e proteggersi preventivamente subendo così le conseguenze della “controfattura”. In questo episodio, un tipico esempio di colpo di ritorno, i disturbi prodotti da un’azione psicobolica escludono l’ipotesi della suggestione, poiché elemento essenziale, affinché la suggestione si verifichi, è che la persona sappia di essere oggetto di un sortilegio. In questo caso nessuno della famiglia pensava a tale possibilità e il bambino, data la tenera età, non poteva assolutamente avere coscienza di essere vittima di un qualunque maleficio. Si riconfermerebbe così il concetto della psicoinduzione, che penetra nel subcosciente della vittima a sua insaputa attraverso i misteriosi canali dell’inconscio.