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La filosofia occulta di Cornelius Agrippa
24 Gen 2019

La filosofia occulta di Cornelius Agrippa

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Heinrich Cornelius Agrippa, nato verso la fine del XV secolo a Colonia, è ancora oggi una delle figure di maggior rilievo per chiunque si occupi di esoterismo ed alchimia. La sua celeberrima opera “De Occulta Philosophia” è una pietra miliare per tutti coloro che si avvicinano allo studio della magia, dell’ermetismo e della cabala.

Cornelius Agrippa

Heinrich Cornelius Agrippa

Heinrich Cornelius Agrippa nacque nel 1486 in una famiglia della piccola nobiltà di Colonia. Compì i suoi studi nell’Università della città natale laureandosi precocemente dottore nel 1502. Non ancora ventenne iniziò la carriera militare e prestò servizio per l’Imperatore Massimiliano I, dal quale fu insignito del titolo di Cavaliere per Meriti al Valore Militare. Nel 1507 Agrippa aveva già conosciuto Tritemio e viveva a Parigi, dove conduceva esperimenti alchemici e dove si dice avesse fondato una società segreta.

Nel 1509, all’età di ventitré anni, Agrippa teneva conferenze sull’opera cabalistica di Reuchlin all’Università di Dole proseguendo nel contempo gli esperimenti alchemici, ma un’accusa di eresia lo costrinse a cercare rifugio nella carriera militare, durante la quale svolse una missione diplomatica in Inghilterra e probabilmente attività di spionaggio. Nel periodo del soggiorno in Inghilterra, divenne amico di John Colet del quale frequentava abitualmente la casa. Nel 1510 aveva già completato la prima stesura della sua opera maggiore, De Occulta Philosophia. Dopo aver letto il testo, Tritemio consigliò ad Agrippa di non pubblicarlo e, per i ventitré anni successivi, il testo circolò in forma manoscritta, acquistando prestigio e un’aura di mistero anche grazie al carattere clandestino. L’opera, considerevolmente accresciuta, fu stampata solo nel 1553.

Fra il 1511 e il 1517 Agrippa soggiornò in Italia, di nuovo al servizio dell’Imperatore e di altri nobili protettori; tenne conferenze sull’ermetismo a Pavia e si dedicò con passione a studiare la cabala. Nel 1518 scrisse un breve trattato sugli antidoti della peste scoperti grazie agli esperimenti alchemici, che fu ripubblicato in edizione riveduta e ampliata nel 1529. Fra il 1518 e il 1522, lavorò come funzionario municipale nella città di Metz, dove continuò a dedicarsi alle ricerche alchemiche. Una volta rischiò la propria vita per aver “coraggiosamente difeso una donna perseguitata dalla plebaglia e dagli inquisitori come strega“. Soggiornò quindi nella nativa Colonia, a Ginevra e a Friburgo, dove pur non avendo nessuna preparazione specifica divenne medico municipale e continuò, comunque, a insegnare il pensiero ermetico ad eminenti esponenti cittadini.

Nel 1525 si diceva fosse in possesso di scritti di Martin Lutero; nello stesso anno fu nominato medico, astrologo e alchimista alla corte lionese di Luisa di Savoia, madre di Francesco I di Francia. Poco tempo dopo, tuttavia, contrasti con la sua mecenate lo obbligarono a riprendere i suoi vagabondaggi che lo portarono nei Paesi Bassi (dove svolse la professione medica), di nuovo a Colonia (dove godette della protezione dell’arcivescovo), a Bonn e quindi in Francia dove morì in miseria a Grenoble intorno al 1535.

Nel 1530, Agrippa pubblicò un libro singolare e poco credibile, De Incertitudine et Vanitate Scientiarum. In quest’opera proclamava “Incertezza e vanità delle scienze“, attaccava l’alchimia, l’ermetismo, la cabala, le discipline a cui si era dedicato per tutta la vita, e perfino le proprie teorie esposte nella sua opera più ambiziosa, De Occulta Philosophia, che ancora circolava manoscritta. E’ ormai opinione generale che il De Incertitudine et Vanitate Scientiarum sia frutto di una manovra intesa ad allentare il controllo inquisitorio della Chiesa e allontanare da sé l’attenzione. Sta di fatto che solo un anno dopo questo libro di ostentata devozione ortodossa, Agrippa fece pubblicare la prima edizione a stampa del De Occulta Philosophia che, in forma accresciuta ed ampliata implicitamente confutava la tesi dell’opera precedente e che era il primo volume di un progetto ben più ambizioso; il secondo venne dato alle stampe nel 1532 e, nel 1533, comparve il testo completo in tre volumi.

Agrippa fu una personalità straordinaria da ogni punto di vista, epitome e incarnazione di quello che oggi chiamiamo “Uomo Rinascimentale”. Fu un soldato coraggioso e uomo d’azione, riconosciuto, benché autodidatta, come uno dei medici più competenti dell’epoca, e teologo sagace. Ma fu come ermetico, astrologo, alchimista, cabalista e mago che ebbe fama maggiore e si conquistò l’aura di mistero e di potere occulto che lo circondava.

Aveva una personalità carismatica ed affascinante, qualità che gli permise di avvicinare molti personaggi potenti ed illustri d’Europa. Era insieme riservato, arrogante e altezzoso; incuteva soggezione e, non essendo disposto ad accettare compromessi né a nascondere le proprie antipatie, riusciva altrettanto bene a farsi amici e nemici. Non dava importanza al denaro e si trovò spesso in difficoltà economiche, tanto che a Bruxelles fu imprigionato per debiti.

La sua avversione per la Chiesa, e specialmente per gli ordini monastici, gli procurò sospetti e fastidi. Agrippa si distinse anche dai suoi contemporanei per l’atteggiamento sorprendentemente moderno nei confronti del matrimonio, delle donne e della sessualità. In un elogio del matrimonio, pubblicato in una raccolta di saggi, Agrippa afferma: “Tu dunque, chiunque tu sia, quando prenderai moglie, lascia che l’amore ne sia la ragione, non il patrimonio o i beni, scegli una moglie non un capo di vestiario, sposa tua moglie non la sua dote. Non trattarla come un essere a te soggetto, ma fra voi ci sia fiducia e consiglio“. In un altro saggio Agrippa giudica severamente gli uomini della sua epoca e si rivela, a tratti, un romantico e un precursore del femminismo: “È forse un elemento della vostra virilità o un ornamento del vostro valore, l’impegno di vituperare le donne? È un tributo di ringraziamento alle autrici della vostra esistenza?“. Egli condanna il fatto che “l’abitudine diffusa come un contagio epidemico, ha condotto a sottovalutare questo sesso e a infrangere la sua reputazione con ogni tipo di termini offensivi ed epiteti diffamatori“. E conclude: “Cessiamo di disistimare questo nobile sesso, o di abusare della sua bontà. Rimettiamolo sul piedistallo di onore e superiorità. E trattiamolo con il rispetto e la venerazione dovuti a questi angeli terrestri“. Si tenga presente che tali espressioni provengono da un uomo che si sposò almeno tre volte.

Tuttavia, come si è detto, la sua opera più importante resta la ponderosa De Occulta Philosophia, edita in tre volumi che comprendono un compendio enciclopedico e un’esegesi del pensiero ermetico, in particolare esoterico. In questa straordinaria summa tripartita, Agrippa tenta di racchiudere tutte le conoscenze del tempo sull’ermetismo e sulla magia, o, per meglio dire, tutto ciò che giudicava possibile diffondere pubblicamente.

In una lettera del 1527, Agrippa dice che esistono interpretazioni e conoscenze segrete che non possono essere trasmesse attraverso la parola scritta, ma devono essere comunicate personalmente da maestro a discepolo. In questo senso, egli si conforma alla tradizione che risale a Pitagora, alle antiche scuole misteriche e al sincretismo alessandrino. Al pari di Zosimo e altri alchimisti ermetici alessandrini, Agrippa considera l’alchimista come l’unico vero soggetto ed oggetto del proprio esperimento.

Sia l’alchimia sia la magia, secondo Agrippa, devono implicare un processo di trasmutazione personale. “Chiunque, quindi, conoscerà se stesso, conoscerà tutte le cose dentro di lui; in particolare conoscerà Dio. E come tutte le cose corrispondono a tutte le cose nel loro tempo, luogo, ordine, misura, proporzione e armonia“. Come gli alchimisti ermetici alessandrini, Agrippa considera il mondo fenomenico, la creazione materiale, un’entità vivente e senziente. Per Agrippa “il mondo è un intero le cui parti sono i corpi delle creature viventi“.

Come i suoi predecessori alessandrini, Agrippa guarda alla fede con sospetto, e insiste sulla conoscenza diretta dell’esperienza sacra e spirituale, o gnostica. Di conseguenza rifiuta di riconoscere al cristianesimo il monopolio della verità: “Ma i riti e le cerimonie religiose sono diversi a seconda dei tempi e dei luoghi. Ogni religione ha qualcosa di buono, perché aspira a Dio. Non esiste una religione tanto erronea che non possegga una parte di saggezza“.

Nella sua grandiosa opera, Agrippa parla di invenzioni o scoperte scientifiche come la camera oscura, le tecniche per leggere, ascoltare o comunicare a distanza in un contesto che suggerisce l’idea di un’antenna parabolica. Cita metodi di coibentazione, che permettono per esempio ad una persona di trasportare carboni ardenti senza dolore né ustioni, e riferisce gli esperimenti con le droghe, probabilmente oppio, cocaina e derivati della canapa indiana.

Cornelius Agrippa - De Occulta Philosophia

De Occulta Philosophia

All’inizio del primo volume del De Occulta Philosophia, Agrippa dà la sua definizione di magia: “È la prima e più perfetta scienza, la sacra e sublime filosofia, e l’assoluta perfezione della filosofia. Tutte le cose inferiori sono soggette ai corpi superiori” il cui potere può essere attratto dal mago e concretamente utilizzato. Secondo Agrippa, il mago, è “un esperto in filosofia naturale e in matematica e un conoscitore delle scienze mediane che di ambedue sono composte, aritmetica, musica, geometria, ottica, astronomia, e delle scienze che si occupano di pesi, misure, proporzioni, membra e giunture, e delle arti meccaniche e derivate“.

La suddivisione del De Occulta Philosophia in tre volumi non è casuale: il primo, tratta di ciò che Agrippa chiama “Magia Naturale”; il secondo di “Magia Celestiale” e il terzo di “Magia Solenne o Divina”. Queste definizioni potrebbero far pensare ad una sorta di progressione morale, a un’ascesa lungo una scala che segue in qualche modo la gerarchia cristiana dei valori. Ma uno sguardo al contenuto dei tre volumi basta a dissipare qualsiasi dubbio. Sotto la denominazione di “Magia Naturale” Agrippa discute dei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco), di divinazione in generale e di astrologia in particolare, dei pianeti e delle loro corrispondenze ermetiche. Nella “Magia Celestiale” include “geometria, numeri, cabala, pentagrammi, figure geomantiche, scrittura angelica, astrologia, talismani, quadrati magici, sigilli planetari”. Infine nella “Magia Solenne o Divina” parla di “platonismo, dottrina cabalistica, spiriti malvagi e demoni, nomi divini, sigilli degli spiriti”.

La progressione non è dunque di tipo morale nel senso comune del termine. E’ piuttosto la progressione da una condizione passiva ad una sempre più attiva, dall’interpretazione alla partecipazione e all’invocazione dinamica. E’ anche una progressione rispetto al potere, alla forza, alla potenza. Su questo argomento un eminente studioso moderno osserva che “Trattando alla stessa stregua magia, religione pagana, pratiche e credenze del cristianesimo, Agrippa dimostra chiaramente quanto fosse pericolosa la magia da un punto di vista cristiano“. Secondo Frances Yates: “L’ideale rinascimentale del magus, l’uomo divino, con il potere di operare sul cosmo, che consegue conoscenza e potere universale (adombrato nella famosa orazione di Pico della Mirandola La dignità dell’uomo) trovò il suo teorico in Agrippa che scrisse un compendio su come diventare un mago. Il De Occulta Philosophia, il manuale sulla magia del Rinascimento più conosciuto dei suoi tempi, inglobava sia la magia Ficiniana sia la magia cabalistica fatta conoscere da Pico e poi elaborata da Reuchlin e dai numerosi cabalisti rinascimentali“. E conclude: “La magia di Ficino, moderata, artistica, soggettiva e la magia cabalistica di Pico, devota e contemplativa, nulla hanno a che vedere con la tremenda potenza della magia di Agrippa“.

Come se già questo non fosse stato sufficiente ad alimentare la sua fama, Agrippa era anche un raffinato istrione capace di curare la propria immagine. In un’epoca fin troppo disposta a credere nei maghi, Agrippa adottò una serie di espedienti per farsi considerare tale. Manteneva, per esempio, una fitta corrispondenza segreta con pensatori e colleghi di terre lontane, spesso esotiche, e poi attribuiva ciò che gli scrivevano a rivelazioni di demoni o di spiriti familiari. Si faceva sempre accompagnare da un cane nero e dava ad intendere ai creduloni che fosse il suo spirito familiare. Anche il Faustus storico era sempre accompagnato da un cane nero e questo particolare ha contribuito a identificare le due figure. Il cane sarebbe riapparso tre secoli dopo, nel poema drammatico di Goethe, come una delle apparenze assunte da Mefistofele.

Agrippa riuscì così ad ammantarsi di un’aura meravigliosa che lo trasformò in una vera e propria “leggenda vivente”. Su di lui si raccontavano storie incredibili. Si diceva che nelle locande dove passava la notte pagasse il conto in monete all’apparenza autentiche, ma che dopo la sua partenza diventavano conchiglie o pezzi di corno senza valore. Si diceva che possedesse uno specchio magico in cui poteva vedere cose lontane nello spazio e nel tempo. In questo specchio si raccontava che il conte di Surrey, separato da sua moglie, la vedesse struggersi per lui. In un’altra occasione, a quanto si dice, alla presenza del conte di Surrey, dell’elettore di Sassonia, di Erasmo e di altri illustri personaggi, Agrippa evocò l’ombra di Cicerone che li intrattenne con una famosa orazione.

Un altro aneddoto, che risale alla fine del XVI secolo, dimostra una volta di più il timore reverenziale con cui Agrippa era considerato. Uno studente, ospite della casa di Agrippa a Loviano, riuscì a farsi dare dalla moglie la chiave dello studio o laboratorio del mago in quel momento assente. Appena entrato nel santuario del maestro, lo studente trovò un libro di formule magiche, un grimorio, e (a conferma del fatto che l’inesperienza può essere pericolosa) evocò un demone che non fu poi capace di controllare. Secondo una versione, lo studente morì di paura; secondo un’altra, il demone, trasformandosi in bruta forza fisica, strangolò l’infelice giovane. Quando Agrippa fece rientro a casa scoprì quello che era accaduto; per evitare di essere accusato di omicidio, si racconta che abbia evocato di nuovo il demone e gli abbia ordinato di rianimare temporaneamente il corpo del giovane. Lo zombie uscì di casa e camminò fino alla piazza del mercato, dove tutti lo videro vivo e vegeto; subito dopo il demone si allontanò e il cadavere del giovane crollò a terra, apparentemente vittima di morte naturale.

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