Grazie ad uno scritto di Clemente Alessandrino risalente al II secolo d.C. abbiamo la prova indiretta dell’esistenza del Vangelo segreto di Marco. Si tratterebbe di una versione più estesa del relativo Vangelo canonico contenente tutta una serie di racconti destinati ad essere letti solo da coloro “iniziati ai grandi misteri”.
Intorno al 195 d.C. Clemente Alessandrino scrisse a Teodoro, uno dei suoi canonici, a proposito di un argomento molto delicato: l’esistenza di un Vangelo segreto di Marco. Il vescovo spiegava che una dissoluta setta eretica, detta dei carpocraziani, si era impadronita di quel Vangelo con la frode e che il testo non poteva essere considerato attendibile. In sostanza Clemente stava confermando l’esistenza del Vangelo segreto di Marco, ma sosteneva anche che né lui né Teodoro avrebbero potuto ammetterla pubblicamente senza concedere alla setta una certa qual misura di credibilità. Il vescovo quindi chiedeva al canonico di mentire al servizio della verità, negando, anche sotto giuramento, che quel Vangelo fosse di Marco.
Clemente disse che Marco aveva trascorso qualche tempo a Roma con Pietro e là aveva cominciato a scrivere quello che in seguito sarebbe diventato il suo Vangelo. Anche Pietro stava scrivendo per la posterità. Dopo la morte di quest’ultimo, Marco si trasferì ad Alessandria, portando con sé sia i suoi scritti sia quelli di Pietro. Lì finì di redigere il Vangelo, da cui tuttavia omise alcuni racconti che riportò soltanto in un Vangelo segreto, consegnato poi alla Chiesa di Alessandria dove, ancora al tempo di Clemente, veniva scrupolosamente conservato “per essere letto solo da coloro che sono iniziati ai grandi misteri“.
I grandi misteri nel Cristianesimo? Ma di cosa stava parlando Clemente? E’ ovvio che il vescovo sapeva cosa fossero l’iniziazione e i misteri. Era un uomo molto preparato in filosofia classica e i suoi scritti erano infarciti di citazioni di Platone, Parmenide, Empedocle, Eraclito, Pitagora, Omero e di decine di altri monumenti della classicità. Aveva esplorato a lungo ed esaminato criticamente i filosofi del suo tempo prima di convertirsi al Cristianesimo nella seconda metà del II secolo. Inoltre egli era consapevole del fatto che gli egizi avevano nascosto un sapere segreto nel simbolismo presente nei loro scritti e nelle loro raffigurazioni: conosceva i testi ermetici, i significati mistici trasmessi attraverso numeri e proporzioni e, al pari dei Terapeuti del secolo precedente, i significati occultati nelle storie dell’Antico Testamento. Clemente, e di questo possiamo esserne certi, non era uno sprovveduto.
Le sue parole illustrano la varietà e la complessità del mondo del Cristianesimo di Alessandria. È probabile che comprendesse pratiche rituali di un certo tipo e non dobbiamo dimenticare che i primi maestri gnostici, come Basilide e Valentino, emersero proprio da lì. Lo stesso Gnosticismo attecchì piuttosto a fondo e si sviluppò proprio dalle tradizioni segrete note al Cristianesimo delle origini. Il teologo Ippolito, dell’inizio del III secolo, conservò un salmo gnostico che terminava con i seguenti versi: “I segreti della via santa chiamata Gnosi io trasmetterò“.
Gli gnostici ritenevano di essere i custodi del vero Cristianesimo e il cuore del loro sistema consisteva in un’iniziazione alla vera conoscenza della divinità. Clemente criticò in lungo e in largo gli gnostici, pur conservando una certa simpatia per le loro dottrine. I misteri e le iniziazioni erano una caratteristica saliente del Cristianesimo ad Alessandria, ma queste dottrine non venivano scritte, quanto tenute entro i limiti della tradizione orale. E il vescovo parla proprio di questo, all’inizio del suo libro Gli stromati: “Ma le cose segrete sono affidate ai discorsi, non alla scrittura“.
Dopo aver raccomandato a Teodoro di mantenere il silenzio, Clemente fu anche troppo esplicito sul Vangelo segreto di Marco, visto che ne fornì il testo completo. A noi sono rimasti solo due estratti: quello più importante dei due si inserisce nel Vangelo Canonico di Marco all’interno del capitolo 10, tra i versetti 34 e 35. Il secondo, molto più breve, si adatta perfettamente al versetto 46, in cui il testo del Vangelo è in effetti mutilo. Il brano centrale del testo del Vangelo segreto di Marco si focalizzava su un giovane iniziato da Gesù “al Regno di Dio“. Questo episodio avviene a Betania, lo stesso luogo della “resurrezione di Lazzaro“. Possibile che si trattasse dello stesso evento? E a questo punto bisogna allora chiedersi cosa si intenda veramente con l’espressione “risorgere dal regno dei morti“. Stiamo forse parlando di qualcosa di letterale o piuttosto di un’Oltretomba a cui Lazzaro era stato iniziato nell’oscurità e nel silenzio di una grotta chiusa da una grossa pietra, come ce la dipinge il Vangelo (giovanni 11:38)? Era mai possibile che questi, come avrebbe forse detto Cristo, stesse ritornando da una visita al Regno dei Cieli?
E in che rapporto sta questo testo con un altro evento molto misterioso che si svolge nel Vangelo di Marco? Quando Gesù viene arrestato nel Getsemani, dopo una breve lotta in cui a uno degli uomini del sommo sacerdote viene tagliato un orecchio, i discepoli fuggono. Marco però racconta di un giovanotto vestito solo di un lenzuolo, che si attardò dietro al messia, e che, una volta fermato, scappò via nudo. Questo giovanotto è molto simile a quello descritto nel Vangelo segreto di Marco e iniziato da Gesù: nessuno ha mai trovato una spiegazione per ciò, ma sembra inconcepibile che non vi fosse alcuna relazione tra le due cose. Per quanto Smith riveli come “la plausibilità non è una prova“, ciò nondimeno aggiunge che “la Storia è per definizione ricerca delle spiegazioni più probabili degli avvenimenti“.