Con il termine “pirobazia” si intende la famigerata pratica di camminare sui carboni ardenti a piedi nudi. Per molti studiosi si tratta della dimostrazione empirica di come il potere della mente e della concentrazione permetta di dominare il dolore fisico mentre per altri si tratterebbe di un fenomeno spiegabile scientificamente.
Una sera del 1899, il colonnello Gudgeon, agente diplomatico britannico sull’isola di Rarotonga, nell’Oceano Pacifico, decise di cimentarsi nell’attraversamento a piedi nudi di un cerchio di pietre arroventate del diametro di 4 metri. “La mia impressione“, raccontò poi alla Society for Psychical Research di Londra “fu che la pelle dei piedi si staccasse tutta, eppure non mi bruciai. Avvertii qualcosa di simile a una leggera scossa elettrica, sia al momento sia in seguito, ma nulla di più“. Questa pratica, definita pirobazia, solitamente associata alla Polinesia, è stata in uso per secoli in quasi tutto il mondo. In India la si ritrova già nell’VIII secolo a.C., e secondo Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C. danzatori sul fuoco, a Roma, prendevano parte ai riti sacrificali annuali in onore di Apollo. Spesso si tratta di un rituale religioso, volto a purificare i partecipanti e a fare cosa gradita agli dei. Per i Messicani è un modo per allontanare le disgrazie, mentre per alcune popolazioni della Polinesia è un rituale per assicurarsi un buon raccolto.
Spesso, come avviene ancora tuttora presso alcune tribù sudafricane, i partecipanti si preparano con diete, astensione dal sesso e rituali come il sacrificio di una capra. Nel 1952 Irwin Ross, un americano residente a Tahiti, stava assistendo a una danza sul fuoco nella vicina isola di Raiatea, quando il capo lo invitò inaspettatamente ad unirsi ai partecipanti, cosa che egli fece, senza alcun danno. Come è possibile? Secondo una teoria molto citata, la pirobazia sarebbe pienamente spiegabile tramite l’effetto Leidenfrost secondo il quale, per brevi intervalli di tempo e ad alte temperature, il sudore evaporato dal corpo, formerebbe uno strato protettivo di aria isolando la pelle dall’esterno. Robert Fulton, che nel 1902 osservò una danza su pietre ardenti nelle isole Fiji, riteneva che le pietre usate fossero cattivi conduttori di calore. Il calore può non distribuirsi in modo uniforme, per cui lateralmente esse possono essere più calde rispetto al lato rivolto verso l’alto. Nel 1934, a Oxford, durante un esperimento, il ricercatore E. S. Thomas riscontrò di poter camminare senza danno attraverso fiamme alte fino al ginocchio, purché rapidamente.
Queste spiegazioni di carattere naturale, però, non sembrano adeguate a ciò che vide Irwin Ross, nel 1952, a Raiatea: il capo Terii, “strisciando sulla pancia“, attraversò una fossa infuocata larga 10 metri. Similmente sono stati visti dei camminatori sul fuoco greci rimanere inginocchiati sui carboni ardenti per diversi minuti. Imprese come queste inducono molti a credere in un potere soprannaturale. Altri pensano che la prova venga affrontata in uno stato di alterazione della coscienza. Nel 1980, alcuni studiosi tedeschi notarono che, se la temperatura della superficie del fuoco era di 500°C, quella dei piedi dei danzatori era di 180°C, mentre i loro cervelli registravano un’attività anormale, facendo supporre che si fosse verificata una specie di dissociazione psichica.
Nel suo libro “Fifty Years of Psychical Research” (Cinquant’anni di ricerca parapsichica) del 1939, lo studioso Harry Price concluse: “Chiunque, dotato della necessaria determinazione, fiducia e fermezza, può camminare incolume su un fuoco che raggiunga gli 800°C“. La fede appare un fattore essenziale. Se chi cammina sul fuoco crede fermamente di non riportare danno, non ne risentirà.