Teotihuacan, antica capitale religiosa, fiorì nel Messico mille anni prima che l’Impero Azteco raggiungesse il suo apice. Chi la costruì? Cosa rappresentavano le Piramidi del Sole e della Luna? Che cosa ne causò la rovina? L’identità dei costruttori del più grande centro dei tempi precolombiani resta ancora avvolta nel mistero.
Le inquietanti rovine della vasta città di Teotihuacan sorgono quasi esattamente alla stessa altitudine dell’altro grande centro del Nuovo Mondo, Machupicchu, in Perù. Ma le analogie terminano qui, dato che mentre quest’ultimo è stretto tra gole scoscese, Teotihuacan si estende in una spaziosa pianura nella Valle del Messico.
Teotihuacan copre un’area di 23,5 Km quadrati ed è dominata dalla gigantesca Piramide del Sole, edificata sulle rovine di una costruzione anteriore nel I secolo d.C. Ciascun lato misura 225 metri di lunghezza, il che permette di stabilire un confronto con l’altro monumento corrispondente del Mondo Antico, la Grande Piramide di Cheope, benché la struttura precolombiana, con i suoi 70 m d’altezza, sia alta meno della metà della corrispettiva egizia. Ciò non sminuisce però in alcun modo lo sforzo organizzativo richiesto dal montaggio in un’unica struttura di quasi due milioni e mezzo di tonnellate di mattoni essiccati al sole e pietrisco.
Nel 1971 alcuni archeologi scoprirono per caso che, all’incirca 6 metri sotto la piramide ed estesa per un centinaio di metri verso est, si trova una caverna naturale che fu usata come centro di culto sia prima che dopo la costruzione del monumento. In epoca precedente alla conquista spagnola i Messicani consideravano queste grotte i ventri da cui il Sole e la Luna, così come gli antenati del genere umano, erano emersi alla luce in una remota antichità.
La Piramide della Luna è un edificio analogo, costruito nella seconda metà del II secolo d.C. su scala minore, con lati lunghi 145 metri alla base. La differenza di dimensioni tra i palazzi solari, o maschili, e lunari, o femminili, non è limitata al Nuovo Mondo. Ad esempio, anche la guglia della Cattedrale di Chartres incoronata dal Sole è considerevolmente più alta di quella sormontata dalla Luna.
Dalla Piramide della Luna parte, in direzione sud e per una lunghezza di circa 3,2 Km, il Viale dei Morti. Esso consiste in realtà in una serie di cortili aperti, ognuno dei quali largo al massimo 145 metri e fiancheggiato da piccole piattaforme che gli Aztechi ritenevano fossero tombe. La supposizione era però errata, dato che gli abitanti di Teotihuacan cremavano i defunti e ne avvolgevano i resti in un sudario prima di seppellirli nel pavimento delle loro abitazioni.
Il viale attraversa la Ciudadela, “la cittadella”, un enorme complesso chiuso e quadrato con il lato di circa 640 metri. A est di questa sorge il Tempio di Quetzalcoatl, una piramide a sei gradoni costruita nel caratteristico stile “talud-tablero”, con file di pannelli rettangolari sovrapposti sulle pareti inclinate. Qui, scolpite con straordinaria nitidezza, si alternano le effigi del Serpente del Fuoco, che regge il Sole nel suo quotidiano passaggio, e del Serpente Piumato Quetzalcoatl, che rappresenta l’unione dell’aria e del suolo, del cielo e della terra.
Scavi recenti hanno mostrato che il Viale dei Morti prosegue per altri 3,2 Km al di là della Ciudadela, dove era tagliato da un viale di pari lunghezza disposto sull’asse est-ovest. La città era perciò divisa in quartieri, in modo simile alla capitale azteca, assai più tarda, di Tenochtitlan, nel cuore della moderna Città del Messico.
L’identità dei costruttori del più grande centro dei tempi precolombiani resta tuttora ignota. Si riteneva in passato che fossero Aztechi, ma quando questo popolo scoprì la città, essa era ormai in rovina da sette secoli. Anzi, quei resti impressionarono gli Aztechi al punto che denominarono la località “Teotihuacan” che, nella loro lingua, significa “il luogo di coloro che posseggono la strada degli Dei“.
Gli edificatori di questi magnifici palazzi, chiunque essi fossero, conoscevano molto bene l’architettura e l’arte del governo. La loro scultura raggiunge la sua espressione più vivida nelle austere maschere di pietra ricavate dalla nefrite, dal basalto e dalla giada, con occhi in conchiglia di mitilo e ossidiana. Caratteristici della loro ceramica sono i vasi e i recipienti cilindrici dotati di tre piedini a forma di lastra e decorati con motivi che ricordano i bronzi cinesi.
L’ossidiana, estratta dai vulcani che attorniano la pianura, era grandemente apprezzata nel mondo antico in quanto si prestava alla fabbricazione di oggetti molto acuminati. A Teotihuacan i punti di lavorazione di questo minerale erano almeno 350, e su di essi si fondava probabilmente la fortuna mercantile della città. Teotihuacan commerciava, o forse intratteneva rapporti di supremazia, con le popolazioni degli altipiani centrali del Messico e possibilmente di gran parte dell’America Centrale. In quell’epoca la potenza di Teotihuacan raggiunse il culmine e il numero degli abitanti era prossimo alle 200.000 unità, facendo di essa la sesta città del mondo.
Gli aghi e gli spilloni d’osso riportati alla luce mostrano che la popolazione fabbricava indumenti e ceste. Benché non siano giunti fino a noi, possedeva presumibilmente dei libri, dato che conosceva la scrittura. Per quanto non sia stata ancora decifrata, sappiamo che gli abitanti della città indicavano i numeri a mezzo di sbarre e punti, come i loro predecessori, gli Olmechi. Il loro cibo era squisito, anche per il palato moderno: cervi, conigli, tacchini, anatre, oche, pesce, mais, fagioli, zucche di vario tipo, pomodori e avocado.
Come le sue origini, anche la fine di Teotihuacan è avvolta nel mistero. Le cause della decadenza vanno probabilmente individuate nel progressivo inaridirsi del clima, con conseguente diminuzione dei raccolti. Ma il colpo di grazia venne verso il 700, allorché il cuore della città fu incendiato da barbari invasori provenienti da nord, che vissero nella città per altri 200 anni.
Tramontò così una delle più splendide civiltà del Nuovo Mondo. Le sue rovine ci stanno a guardare in tutta la loro spettacolarità, ma quanto più straordinari dovevano apparire i monumenti in basalto nero ricoperto di stucchi e dipinto in tutti i colori dell’arcobaleno. I frammenti di affreschi dai nitidi, vigorosi motivi in azzurro, rosso, giallo e bruno, che ancora adornano le mura di qualche palazzo, ce ne rimandano un seducente riflesso.
In un’epoca in cui la grandezza di Roma era ormai solo polvere e l’Europa vacillava sotto i colpi delle orde barbariche, il Messico produsse una civiltà che esprimeva ai massimi livelli la coesione sociale e la sensibilità artistica. Saranno però necessari anni di scrupolose ricerche prima di dissotterrare i misteri di Teotihuacan dalle sabbie mobili della Valle del Messico.