Secondo le teorie della scultrice Katherine Maltwood, il territorio del Somerset nasconderebbe uno zodiaco di dimensioni enormi. Partendo dalle leggende su re Artù, la regina Ginevra e la leggendaria città di Avalon, la Maltwood riuscì a ricostruire l’intero zodiaco di Glastonbury.
Un intero paesaggio scolpito e modellato per riprodurre le divinità stellari. È esattamente ciò che si presenta nella contea di Somerset, nell’Inghilterra occidentale, secondo una delle più audaci teorie archeologiche. Interamente costituito da divinità del cielo, lo “Zodiaco del Somerset” si estende su un’area di 800 Km². Di fatto è visibile in tutta la sua interezza solo dall’analisi delle mappe aeree. Il centro focale di questa straordinaria teoria è Glastonbury, una sonnolenta cittadina inglese che fin dal Medioevo attrasse gruppi di mistici e pellegrini in quanto considerata la culla della cristianità inglese e che ora è diventata la mecca di moderni viaggiatori New Age e archeologi al limite dell’ortodossia.
Fu la scultrice Katherine Maltwood (1878-1961) a scoprire negli anni venti il cosiddetto “Zodiaco del Somerset“ e le sue impressionanti figure di oggetti ed animali. Si era sempre interessata al simbolismo legato al ciclo del Graal ed in particolare ad un racconto medievale francese giunto in Inghilterra col titolo “High Story of the Holy Grail“. L’autore sosteneva di aver copiato la vicenda da un libro scritto in latino conservato nella “santa dimora della religione” sull’isola di Avalon, ove furono sepolti re Artù e la regina Ginevra. Questo luogo altro non può essere che Glastonbury, ove i monaci dicono di aver rinvenuto i resti dei due sovrani nel 1190. Se la misteriosa Avalon è a Glastonbury, si chiese Maltwood, è possibile trovare le tracce delle avventure dei cavalieri di re Artù sulle colline del Somerset?
Uno degli avversari che i Cavalieri della Tavola Rotonda dovettero affrontare nel loro cammino alla ricerca del Graal, fu un feroce leone e la Maltwood non si stupì quando notò su una moderna carta geografica che il sinuoso corso del fiume Cary (a sud di Glastonbury, ove la scultrice aveva la residenza estiva) disegnava la parte inferiore di un leone, dalle costole alle zampe posteriori. Piccoli torrentelli che si riversavano nel fiume fornivano altri dettagli: il naso, la criniera e la coda, mentre antichi sentieri e terrapieni andavano a formare il muso. Osservando attentamente la mappa con occhi diversi, la scultrice individuò un’intera serie di figure delineate da fiumi e ruscelli, sentieri e confini di campi.
Dopo ulteriori ricerche attraverso mappe e fotografie aeree, la Maltwood riuscì ad individuare una dozzina di gigantesche figure zodiacali disegnate dai fiumi, dalle colline e dai campi che si estendevano a sud e ad est di Glastonbury. Alcune figure erano lunghe quasi due chilometri e, per dimensioni, ricordavano i giganteschi “mounds” degli Stati Uniti. I simboli erano disposti secondo un ordine ben preciso: i freddi segni zodiacali invernali erano posizionati a nord, quelli estivi a sud e ben dieci segni seguivano la corretta posizione zodiacale. La possibilità di una disposizione casuale dei simbolil era di una su 149 milioni.
Oltre alle classiche figure zodiacali, la Maltwood individuò un altro simbolo, il cosiddetto “Grande Cane di Langport” la cui funzione, probabilmente, era quella di guardiano del grande mondo misterioso. Anche in questo caso, i nomi delle località l’aiutarono a identificare la figura: attorno al “Grande Cane”, infatti, molti nomi topografici contenevano il termine “cur”, “cagnaccio”, come Curry River, North Curry e Curland.
Lo sforzo necessario per la realizzazione delle gigantesche figure zodiacali è ancora più impressionante se si considera il periodo storico in cui vennero ideate. Basandosi sugli allineamenti astronomici, la Maltwood datò il “tempio delle stelle” attorno al 2700-2000 a.C. se non addirittura al neolitico. Basandosi invece su assonanze linguistiche, sostenne che i costruttori dello zodiaco erano i cercatori di metallo provenienti dalla grande civiltà sumera della Mesopotamia meridionale (l’attuale Iraq): essi diedero alla nuova patria il nome di Somerset in ricordo della loro terra d’origine. Migliaia di anni dopo, secondo la Maltwood, lo Zodiaco di Glastonbury fu identificato con la “Tavola Rotonda di re Artù”: il racconto medievale francese “Queste dou Saint Grail“, scritto intorno al 1200 d.C., narra che Merlino creò la Tavola Rotonda per simboleggiare le stelle ed i pianeti.
Nonostante la pubblicazione di parecchi libretti ed articoli sull’argomento, le teorie di Katherine Maltwood non trovarono eco al di fuori dei circoli esoterici e dopo il trasferimento della scultrice in Canada furono del tutto dimenticate. Solo negli anni sessanta, lo Zodiaco di Glastonbury ritornò in auge, assieme ad altre teorie archeologiche poco ortodosse. Gandalf’s Garden, una rivista che deve il suo nome al mago dei racconti di Tolkien, Il Signore degli Anelli, pubblicò un articolo di Mary Caine che portò all’attenzione dei lettori lo Zodiaco del Somerset. Da allora lo zodiaco diventò oggetto di studi e discussioni nei circoli archeologici meno convenzionali: vennero identificati altri zodiaci giganteschi in una ventina di siti britannici, fra cui Winchester e Kingston Upon Thames in Inghilterra, Prescelly in Galles, Glasgow ed Edimburgo in Scozia; tuttavia nessuno ha stuzzicato tanto la fantasia quanto quello del Somerset.
L’archeologia tradizionale non annovera lo Zodiaco di Glastonbury fra le grandi scoperte. Perché? Innanzitutto perché la somiglianza fra le figure terrestri ed i segni celesti non è per nulla perfetta: la Libra (Bilancia) è rappresentata da una colomba e non da una bilancia, il Cancro da una barca e non da un granchio, l’Acquario da una fenice e non da una brocca d’acqua, e fa la sua comparsa la costellazione della Balena sebbene non faccia parte dello zodiaco. Va ammesso, tuttavia, che quest’obiezione è lungi dall’essere categorica in quanto i simboli zodiacali potrebbero essere variati nel tempo e la conformazione del paesaggio potrebbe aver suggerito l’introduzione di altre figure celesti.
Non si deve dimenticare, tuttavia, che non si trova traccia dello Zodiaco di Glastonbury nelle tradizioni o in scritti antichi (parecchi sostenitori della teoria dello zodiaco asseriscono di rintracciare un accenno nell’occultista John Dee vissuto al tempo della regina Elisabetta I, ma non sono riusciti a rintracciarne la fonte). Secondo la Maltwood, lo zodiaco dovrebbe risalire alla preistoria. In questo caso, però, la teoria dello zodiaco dovrebbe affrontare obiezioni ancora più consistenti. Gli archeologi sono soliti analizzare carte geografiche, riprese aeree e ciò che resta di alcune opere militari quali i fossati. In base a questi dati, sono in grado di ricostruire le manipolazioni subite dal territorio dall’antichità ai giorni nostri. Nel 1983 due studi indipendenti, il primo condotto da Ian Burrow e il secondo da Tom Williamson e Liz Bellamy, presero in esame vari aspetti del paesaggio del Somerset che concorrevano alla formazione dello Zodiaco di Glastonbury. Si attennero alla normale procedura in uso in simili casi: per prima cosa eliminarono le manipolazioni paesaggistiche più recenti (quelle operate dal moderno sfruttamento agricolo) e poi datarono le modifiche più antiche, fino a cercare di collocare storicamente lo stesso zodiaco.
I risultati non lasciarono spazio a dubbi. Alcuni elementi che delimitavano lo Zodiaco di Glastonbury erano decisamente antichi, come torrenti, fiumi e colline ma il percorso delle vie d’acqua era cambiato significativamente dalla preistoria. In alcuni casi queste modifiche erano del tutto naturali e non si scorgeva alcun intervento umano atto a deviare il corso dei fiumi per scopi precisi. Agli archeologi avvezzi all’analisi delle riprese aeree apparve subito chiaro che alcune interpretazioni della Maltwood erano dovute ad errori nella lettura delle mappe, attribuibili senz’altro all’inesperienza. Per esempio, quelli che secondo la Maltwood erano gli occhi dei Pesci, molto probabilmente erano i segni lasciati sul terreno dalla mandria che si ammassava attorno al cancello di uno steccato, e l’occhio del Capricorno era solo un mucchio di fieno.
Ciò spiegherebbe perché questi dettagli sparirono in successive rilevazioni. Alcuni elementi che compongono lo zodiaco sono visibili solo in certi periodi dell’anno: le ombre gettate da Glastonbury Tor disegnano il collo della “fenice” (Acquario) ma appaiono solo nelle riprese aeree invernali. Le linee formate dai confini dei campi, i fossati scavati per il drenaggio dei terreni o le strade risalgono tutti agli ultimi secoli. Sebbene i sostenitori della teoria zodiacale affermino che queste opere non fanno altro che perpetuare antiche manipolazioni del paesaggio, ciò non sembra vero in molti altri casi: l’ala della fenice, per esempio, è formata da una strada costruita nel 1782 attorno a Glastonbury (le mappe catastali del 1620 mostrano chiaramente che non vi era nulla in tempi più remoti), la zampa anteriore del Leone è formata da una strada che fu deviata nel 1905 per lasciare spazio alla ferrovia e la barca del Cancro è costituita da una serie di canali e rivoli scavati alla fine del diciottesimo secolo per prosciugare le paludi.
In base ai resti di piante ed animali conservati nelle torbiere, è possibile determinare che il Somerset, nel neolitico, periodo a cui risalirebbe lo Zodiaco di Glastonbury, era una depressione dominata da paludi di acque stagnanti, prive di alberi, inframmezzate da zone ricoperte di eriche. Qua e là erano state costruite delle passerelle in legno, per evitare le paludi; esse sono miracolosamente giunte fino ai nostri giorni, ma nessuna di esse concorre a formare i segni dello zodiaco. Se gli attuali canali di scolo risalissero al neolitico o fossero il rifacimento di drenaggi di quel periodo, non esisterebbero le torbiere e non avrebbero ragion d’essere i camminamenti di legno. Né si potrebbe identificare l’isola di Avalon con Glastonbury che, nel Medioevo, si ergeva tra gli acquitrini. Il paesaggio è stato completamente stravolto dalle opere di bonifica compiute tra la fine del diciottesimo secolo e gli inizi del diciannovesimo.
Per colmo d’ironia, fu proprio l’articolo di Mary Caine, scritto nel 1969 per riportare in auge lo Zodiaco di Glastonbury, che contribuì maggiormente a mettere in luce i punti deboli della teoria. Per “migliorare” lo zodiaco, ella capovolse lo Scorpione, aggiunse un monaco ai Gemelli e alterò i contorni del Capricorno, della Bilancia e del Leone. Sebbene i suoi sforzi fossero sinceramente rivolti a perfezionare uno schema ritenuto fondamentalmente corretto, essi mostrarono quanto poco bastasse per sconvolgere completamente la visione originale della Maltwood. Lo Zodiaco di Glastonbury è la dimostrazione che nel paesaggio ognuno può cogliere gli aspetti che meglio aderiscono al proprio pensiero: certe linee sono state preferite ad altre non perché avevano un significato particolare ma solo perché si adattavano meglio a formare una figura che l’interprete credeva di individuare nel paesaggio, esattamente come succede con le macchie d’inchiostro un tempo molto utilizzate nei test psicologici. In una mappa si può leggere di tutto ed i risultati dipendono dall’osservatore piuttosto che dal paesaggio in sé.