La leggendaria città di Machu Picchu venne riportata alla luce nel 1912 grazie agli scavi di Hiram Bingham che permisero di rivelare al mondo uno dei siti archeologici più affascinanti e maestosi del pianeta. Ancora oggi gli studiosi sono in disaccordo sulle tecniche costruttive utilizzate per erigere le grandiose costruzioni.
Quando nel 1530, Gonzalo Pizzarro giunse in Perù, fu probabilmente sorpreso dalla facilità con cui riuscì a conquistare il paese. L’impero Inca era all’epoca coinvolto in una guerra civile e, con i suoi soldati a piedi, non poteva certo far fronte alla superiorità della cavalleria spagnola. Nel 1536, il sovrano inca sconfitto, Manco Capac, fuggì dalla capitale Cuzco e fondò un’altra città, Vilcabamba, dove la sua dinastia sopravvisse per altri 36 anni.
Hiram Bingham, dell’Università di Yale, si recò in Perù nel 1911 per andare alla ricerca di Vilcabamba. Scegliendo come base Cuzco, esplorò la campagna circostante. Dopo vari giorni di cammino lungo le rive del fiume Urubamba si imbatté in un contadino che si offrì di mostrargli alcune rovine in cima a una montagna che egli denominava Machu Picchu (antico picco). Al termine di una faticosa salita attraverso la giungla, intervallata dal superamento di precari ponti di corda sospesi, Bingham arrivò infine a quella che è oggi nota come la “Tomba Reale”. Nonostante il folto manto di vegetazione che le rivestiva, Bingham si rese conto che non erano vestigia qualsiasi. Le pareti in puro granito bianco lo lasciarono stupefatto. Egli scrisse: “Cominciai a capire che quel muro, e il tempio semicircolare confinante, posto sopra la grotta, erano degni di essere paragonati alle più belle opere in muratura del mondo. Tanto splendore mi mozzò il fiato. Che cosa poteva mai essere quel luogo?“.
Credendo che si trattasse di Vilcabamba, lo storico organizzò l’anno successivo una spedizione per liberare la zona dagli alberi e ripulire i monumenti. Venne così rivelata al mondo l’esistenza della leggendaria cittadella di Machu Picchu. Non si trattava però di Vilcabamba, dato che in alcuni documenti spagnoli venuti alla luce in seguito era indicato che la città sorgeva in direzione opposta rispetto a Cuzco. Ancora oggi gli studiosi sono in disaccordo sulla sua esatta ubicazione.
Solo dall’osservatorio di Intipunku, sulla cima della collina vicina, il visitatore può apprezzare pienamente la colossale concezione di Machu Picchu. La cittadella è un’opera portentosa per urbanistica, ingegneria civile, architettura e realizzazione muraria. Chi furono i costruttori di questa sinfonia in pietra, di questo vasto complesso di edifici di così perfetta esecuzione che persino cinque secoli di abbandono all’inesorabile assalto della giungla peruviana hanno potuto privarli soltanto dei tetti di paglia e canne? Le forme architettoniche sono inequivocabilmente caratteristiche degli Inca, ma al di là di questo le origini della città sono avvolte in un mistero fitto come le nebbie che di prima mattina turbinano fra le fortificazioni dirupate. Passando attraverso gli stipiti delle porte, curiosamente inclinati, pare che, ad ogni istante, debba materializzarsi un guerriero inca ricoperto d’oro e ammantato di piume.
Gli enigmatici Inca non conoscevano la ruota né la scrittura, ma furono capaci di creare un impero che si estendeva per 3.680 km lungo gli imponenti rilievi andini. Che sorta di città era mai questa, arroccata su una roccia affiorante a 2.300 m di altezza, sulle pendici orientali delle Ande, 112 Km a nord-ovest di Cuzco? Machu Picchu era un complesso di templi, palazzi e osservatori che accoglieva le classi dominanti inca. All’estremità occidentale della città vi era Intihuatana, il cui nome significa “il palo per legare il sole”: una piccola piramide appiattita, sormontata da un’enorme pietra meridiana modellata nella roccia naturale in una forma sinuosa e di grande bellezza. Da questo punto, i sacerdoti compivano osservazioni e calcoli che consentivano loro di tracciare la volta celeste. Una conoscenza in grado di conferire autorità religiosa e potere temporale. Esaminando le viscere dei lama sacrificati predicevano il clima e quindi i raccolti.
La cittadella sorge su uno zoccolo scosceso, che scende a picco da tutti i lati fornendo una straordinaria difesa naturale e offrendo una vista meravigliosa sull’angusta valle dell’Urubamba, che i nemici dovevano attraversare per raggiungere la capitale, Cuzco. Qualunque fosse il valore spirituale del luogo, non furono certo trascurate le considerazioni strategiche, il che non sorprende per un popolo che dominava un impero che si estendeva quanto quello di Giulio Cesare.
Se è presumibile che in tempi di drammatica emergenza gli Inca compissero sacrifici umani, è certo invece che essi indulgevano in pratiche altrettanto bizzarre secondo i criteri moderni. Le donne di alto rango erano ad esempio sottoposte alla deformazione del cranio, probabilmente in nome della moda. Alla nascita, la testa dell’infante veniva strettamente avvolta con cinghie e asticelle che non erano più rimosse finché le ossa non erano completamente formate, alla fine dell’adolescenza. Il risultato era un cranio allungato, in misura veramente allarmante, verso l’alto e posteriormente. Questa curiosa usanza rendeva forse necessaria l’abitudine ancora più strana della trapanazione, in cui zone abbastanza estese delle ossa della testa venivano resecate con coltelli rituali detti tumis.
Hiram Bingham scoprì molti oggetti in pietra, bronzo, ceramica e ossidiana, ma nessuno in oro o in argento. Eppure questi preziosi metalli sarebbero dovuti essere presenti in grande quantità, come nel Tempio del Sole, a Cuzco, dove persino il giardino conteneva riproduzioni in oro a grandezza naturale del frumento e di altre piante. È improbabile che gli Spagnoli abbiano depredato la città, dato che a quanto sembra non scoprirono mai Machu Picchu. Essi si prendevano gran cura di visitare ogni centro abitato peruviano e di annotarne in dettaglio le caratteristiche prima di spogliarlo degli oggetti di valore. Eppure nelle cronache spagnole non vi è neppure un accenno a Machu Picchu. Lo studioso peruviano Victor Angles Vargas ritiene che la città si sia spopolata verso la fine dell XV secolo, prima dell’arrivo degli Spagnoli. Ma cosa abbia determinato l’abbandono è uno dei più grandi enigmi che circondano questo sacro luogo.
Le guerre tra tribù inca erano frequenti e sanguinose, e terminavano spesso con la distruzione di intere comunità. Quando l’imperatore inca Wayna Capac sconfisse la tribù Caranques, ordinò l’esecuzione di tutti i sopravvissuti. Può darsi che i cittadini di Machu Picchu abbiano subito un analogo destino. Un’altra possibilità è che un sacerdote novizio abbia profanato una delle sacre ajllas, le Vergini del Sole. Garcilaso de Vega, figlio di uno spagnolo e di una principessa inca, ci ha lasciato esaurienti commenti sulle usanze inca. Secondo la sua testimonianza, chiunque fosse stato giudicato colpevole di violenza carnale contro una ajlla veniva non solo messo a morte, “ma anche i suoi servitori, i congiunti e i vicini, gli abitanti della sua città e il loro bestiame venivano uccisi. Nessuno sopravviveva alla condanna. Il luogo era poi dannato e scomunicato di modo che nessuno potesse ritrovarlo, neppure gli animali“. Fu forse questo il destino della gente di Machu Picchu?
Le epidemie sono abbastanza comuni persino oggi: negli anni ’40 la malaria decimò la popolazione di una regione non lontana da Machu Picchu. E lo scheletro di una donna ricca ritrovato da Hiram Bingham mostrava che era malata di sifilide, una sorte presumibilmente condivisa anche da altri. Forse la città fu devastata da un flagello di dimensioni così terribili da essere posta in quarantena permanente dalle autorità. La moderna analisi scientifica degli scheletri rinvenuti sul luogo potrà forse fornire risultati illuminanti, come può invece darsi che la causa dell’improvviso spopolamento di Machu Picchu resti sconosciuta per sempre.
Ciò che più affascina il visitatore oggi è la grandiosità delle opere in muratura. Pur non possedendo animali da tiro, gli Inca edificarono mura massicce con pietre che pesavano varie tonnellate e che, sebbene siano trascorsi diversi secoli, combaciano ancora cosi perfettamente da non consentire alla lama di un temperino di infilarsi in qualche punto delle fessure.
Una delle caratteristiche dell’arte muraria inca è la particolare foggia delle pietre dai molti spigoli, che si incastrano con assoluta precisione senza malta, formando una specie di puzzle tridimensionale. Tale struttura aumenta considerevolmente la stabilità del muro, necessaria per sopportare i frequenti terremoti che sconquassano le Ande. A Cuzco, in una parete è inserita una famosa pietra a dodici angoli. A Torontoy, vicino a Machu Picchu, vi è un masso con 40 spigoli.
Come riuscirono gli Inca ad attingere a questi vertici mai più superati di perizia costruttiva? I problemi di manodopera furono risolti mettendo al lavoro tutti gli uomini robusti delle tribù soggiogate. Ad esempio, il vicino complesso di templi di Ollantaytambo fu edificato dagli Indiani Colla originari delle rive del Lago Titicaca. Ma come poterono gli Inca incidere il duro granito in linee prodigiosamente lunghe e diritte? Benché essi fossero eccezionalmente abili a fondere e a unire in lega i metalli teneri, eseguire intarsi e pitture a smalto “cloisonné” con l’oro, l’argento, il rame e il bronzo non giunsero mai a fabbricare utensili di ferro.
Non sono mai stati rinvenuti manufatti abbastanza resistenti da poter lavorare pietre così dure. Gli Inca non possedevano la tecnologia per farlo, eppure vi riuscirono. Questa misteriosa razza presenta un altro grande enigma per cui sono state proposte varie soluzioni. La guida di Sacsayhuaman, vicino a Cuzco, afferma che la modellatura dei massi avveniva con frammenti di ematite. Se ciò corrisponde a verità, le Ande devono aver subito un vero e proprio bombardamento di meteore, dato che l’ematite non poteva durare molto una volta trasformata in strumenti. Sta di fatto che la costruzione dei monumenti deve aver richiesto milioni di ore di lavoro.
L’impiego di una tecnologia laser da parte di visitatori extraterrestri è una teoria a cui ci si appella talvolta per spiegare la qualità dell’arte muraria inca. Tale ipotesi, che nega agli Inca la capacità di eseguire da soli la colossale opera, si basa sulla convinzione che il XX e il XXI secolo rappresentino il culmine del progresso umano. Tale visione del mondo, con la sua semplice sequenza di cause ed effetti, ha contribuito alla sconfitta di molte malattie e alla conquista del globo. Ma essa può anche significare che il genere umano ha smarrito certi poteri posseduti da razze più antiche. Si dice che gli iniziati dei Druidi fossero in grado di volare, di viaggiare nel tempo e di controllare le condizioni atmosferiche. Non potrebbe darsi che il sacerdote sciamano inca sapesse servirsi di forze occulte per erigere e modellare Machu Picchu a partire dalla viva roccia? Forse non sapremo mai la risposta.