La Sibilla Cumana è stata uno degli oracoli più conosciuti e consultati del mondo antico, le cui predizioni sono descritte in numerose opere di autori greci e latini. Negli anni ’30 del secolo scorso, una campagna di scavi condotta ad ovest di Napoli, ha portato alla luce una caverna nota come l’Antro della Sibilla.
Al loro arrivo in Italia, nell’VIII secolo a.C., i coloni greci scelsero per stabilirsi un luogo incantevole, Cuma. Posto all’estremità nord-occidentale del Golfo di Napoli, in un punto che domina un ampio panorama, questo terreno roccioso di origine vulcanica sembrò loro ideale per costruirvi l’acropoli, che sarebbe stata così difesa da tutti i lati dal mare, dai laghi, dai boschi e dai monti.
I resti delle mura della cittadella sono ancora visibili alla sommità, dove sorgeva il Tempio di Giove, in passato punto di riferimento per i marinai. Le rovine rimaste appartengono a un edificio del V secolo a.C., ricostruito sotto Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) e trasformato nel VI secolo d.C. in una chiesa cristiana. Più in basso si individuano la base e i contorni del Tempio di Apollo. Ancora più sotto si apre la grotta del più famoso oracolo del mondo, la Sibilla Cumana.
La donna sapiente in grado di predire il futuro compare nelle tradizioni di molti paesi, ma nessuna più della Sibilla Cumana fu celebrata nell’antichità. Già in epoca molto remota alcune popolazioni dell’Asia occidentale si tramandavano sotto forma di versi i responsi oracolari di profetesse conosciute come Sibyllai. Si ignora cosa significhi la parola “sibilla“, benché la leggenda narri che tale fosse il nome di un’indovina di Marpessus, nei pressi di Troia, nota per aver espresso i suoi oracoli in indovinelli scritti sulle foglie delle piante. È certo comunque che la tradizione delle Sibille finì per diffondersi anche tra i Greci, e poi tra i Romani, radicandosi in varie località. Sibilla divenne un termine generico attribuito a un gran numero di profetesse, l’autore romano Varrone (116 – 27 a.C.) ne elenca dieci, sparse in tutto il mondo antico, e in modo particolare a Cuma.
Non si sa se a Cuma sia effettivamente vissuta una persona nota come “Sibilla” benché ai tempi dell’Impero Romano la sua tomba venisse mostrata ai visitatori del Tempio di Apollo. Nella tradizione greca le Sibille erano associate ad Apollo, in quanto dio delle profezie: l’Oracolo di Delfi in Grecia, noto come “Pizia“, era una sacerdotessa del tempio locale dedicato alla divinità. Per entrare nello stato di trance profetico la Pizia masticava foglie di alloro, l’albero sacro ad Apollo, oppure sedeva sul suo tripode, vicino a una spaccatura del terreno, e aspirava gli intossicanti fumi vulcanici che ne uscivano. Ma in un caso o nell’altro, si riteneva che ricevesse l’ispirazione direttamente dal dio, che tramite lei pronunciava i suoi famosi, ambigui oracoli. Cuma, come Delfi, sorge in una zona di attività vulcanica, i Campi Flegrei, a ovest di Napoli, preferiti in epoca romana dalle classi abbienti per costruirvi le loro residenze e giovarsi delle acque termali di Baia. Al pari dell’Oracolo di Delfi, anche la Sibilla Cumana era legata al culto di Apollo. I poeti romani narrarono la storia della profetessa, originaria dell’Oriente a cui il dio offrì di esaudire qualsiasi suo desiderio pur di diventarne l’amante. La Sibilla chiese di vivere per un numero di anni pari ai granelli contenuti in una manciata di polvere che risultarono essere 1.000. Ma si scordò di domandare anche la perpetua giovinezza, e con il trascorrere del tempo divenne così vecchia e raggrinzita da poter essere rinchiusa in una bottiglia che fu appesa a Cuma. Quando dei bambini le chiesero cosa desiderasse, ella rispose soltanto: “Voglio morire“.
Il culto di Apollo era allo stesso tempo negromantico e ctonio, avente a che fare coi morti e il mondo sotterraneo. Ed è nella veste di guida all’Ade che la Sibilla Cumana si mostra nel VI libro dell’Eneide. L’eroe troiano Enea va a consultarla nel suo tempio, un “antro immane” posto sotto il Tempio di Apollo. Prima di condurlo con i suoi uomini fino all’entrata del Lago d’Averno, la maga gli ordina di procurarsi il prodigioso Ramo d’Oro quale lasciapassare per l’Ade. Il misterioso lago, distante solo 4 Km da Pozzuoli, conserva tutt’ora il nome originario. Circondato nell’antichità da nere, incombenti foreste, e magicamente evocato dal pittore inglese Turner, ha oggi mutato grandemente aspetto in seguito alle eruzioni vulcaniche e allo sviluppo dell’edilizia. È rimasto tuttavia un luogo di grande suggestione. Con le sue acque profonde e sulfuree riempie il cratere di un antico vulcano, le cui mortali esalazioni, così narra la tradizione, tenevano lontani gli uccelli. Troverebbe così spiegazione il suo nome, che si ritiene derivi dal greco a-ornos, “senza uccelli“.
Sull’acropoli di Cuma si apriva una grotta tradizionalmente nota come “Antro della Sibilla“. Quando negli anni ’20 si procedette a una campagna di scavi, la caverna risultò più grande di quanto ci si aspettava, ossia lunga 183 metri, con pozzi luce e cisterne d’acqua. La galleria attraversava in linea retta la collina e venne presto identificata come un’opera militare costruita dal generale romano Agrippa (ca. 63 – 12 a.C.). Nel 1932 fu scoperta una seconda caverna, che gli archeologi ritennero essere quella della Sibilla. Vi si accede tramite una galleria lunga 107 metri, con 12 brevi passaggi laterali che si aprono sul fianco del colle, da cui filtra la luce.
La galleria principale termina in un vestibolo contenente un paio di sedili scavati nella roccia e al di là di essi una camera a volta. Forse i visitatori della Sibilla si sedevano in attesa di consultarla mentre la profetessa vaticinava nascosta dalla porta che separava in origine il vestibolo dal tempio interno. Erano probabilmente in uno stato di esaltata aspettativa dato che, durante il giorno, l’alternarsi di fasci di luce e oscurità originati dai pozzi, lungo la galleria, faceva sì che chiunque provenisse dall’interno per condurre i nuovi arrivati al tempio apparisse e scomparisse.
Le aperture luminose avevano anche lo scopo di intimidire i visitatori in un secondo modo. Come le fessure osservate in altre camere oracolari, ad esempio a Malta, i fori nella roccia potevano produrre il calcolato “effetto speciale” descritto da Virgilio:
“L’immenso fianco della rupe euboica s’apre in un antro:
vi conducono cento ampi passaggi, cento porte;
di lì erompono altrettante voci, i responsi della Sibilla“
Nel 1932, gli studiosi conclusero che la caverna di Virgilio era stata riscoperta, ed essa continua ad essere mostrata ai visitatori come quella della Sibilla. Ma lo è veramente? Il tempio della Sibilla Cumana fu venerato in tutto il mondo greco a partire dal VI o V secolo a.C.; ma gran parte dei resti oggi visibili appartengono ad un periodo più tardo. Non sono stati praticamente esumati reperti tali da confermare o confutare l’uso religioso della grotta e alcuni archeologi ritengono che siano necessarie altre ricerche. Eppure è facile, stando all’entrata della caverna, immaginare l’eroe di Virgilio, Enea e i suoi troiani, tutti consumati guerrieri, raggelati dal terrore, mentre “Dal sacrario la Sibilla Cumana predice orrendi enigmi e mugghia dall’antro, avviluppando il vero nelle tenebre“.