Cnosso costituisce il più importante sito archeologico dell’isola di Creta, testimonianza a cielo aperto dello splendore raggiunto dalla civiltà minoica nel II millennio a.C. (1700-1450 a.C. circa). Il Palazzo di Cnosso, che si estendeva su una superficie di 22.000 mq, costituiva il centro politico e religioso dell’impero.
Su un semplice vaso di terracotta conservato nel Museo Archeologico di Candia, a Creta, l’eroe greco Teseo guarda negli occhi la sua bellissima Arianna. Su una pentola in terracotta conservata al Museo Vaticano il giovane afferra il Minotauro per le corna e gli affonda la spada nel cuore. La storia di Teseo che uccide il Mostro è soltanto un mito o trova qualche riscontro in un episodio reale? Questo è uno dei molti misteri a cui le rovine del Palazzo di Cnosso hanno fornito finora solo una mezza risposta.
Avvicinandosi all’edificio dal mare, distante soli 4 Km, il visitatore lo vede come avrebbe potuto vederlo Teseo dirigendosi all’entrata nord, lungo la strada murata. Per una nazione di marinai e commercianti, quali erano i Minoici 2.000 anni prima di Cristo, questo ingresso al palazzo, fiancheggiato dai suoi “uffici doganali”, doveva essere il più importante. All’entrata, lo sguardo è attratto dal gigantesco affresco in rilievo di un possente toro che, in preda a frenetico terrore, combatte in un bosco di ulivi con i suoi assalitori. Alle spalle dell’animale si stende un vero e proprio labirinto di 1.500 stanze formanti un intricato disegno di angusti corridoi che avrebbero sconcertato chiunque non conoscesse il palazzo a menadito.
Il primo insediamento a Cnosso è del V o VI millennio a.C. Verso la fine del III e agli inizi del II millennio fu costruita una serie di magnifici edifici, tutti distrutti da terremoti e tutti riedificati sulle rovine dei precedenti. Ma fra il 1400 e il 1250 a.C. una devastante eruzione vulcanica al largo dell’isola di Santorini cancellò per l’ultima volta la città, il palazzo e i suoi abitanti.
Fu soltanto nel 1879 che l’opera dell’archeologo greco Minos Kalokairinos e la successiva campagna di scavi condotta dall’archeologo inglese Sir Arthur Evans riportarono alla luce, in tutta la sua maestà, il Palazzo di Cnosso. I resti della struttura evocavano un invidiabile stile di vita in cui funzionalità ed estetica avevano raggiunto un notevole equilibrio.
Una civiltà può essere forse valutata nel migliore dei modi dal suo sistema di fognature. Quello dei Minoici, in particolare nel periodo tra il 1700 a.C. e il disastro finale, è stato raramente superato. Fra le molte meraviglie di Cnosso poche colpiscono di più il visitatore dei tre tubi di scolo in argilla, perfettamente combacianti, tuttora alloggiati nei pozzetti d’ispezione, proprio come all’epoca della messa in opera, 4.000 anni fa. I tubi hanno forma affusolata per rallentare il deflusso dell’acqua e, al pari dei canali di scarico parabolici e dei loro serbatoi di sedimentazione posti lungo le strade pavimentate, sono solo uno dei molti esempi delle profonde conoscenze di idrodinamica dei Minoici. Accostandosi al palazzo di Cnosso dall’entrata “commerciale”, a ovest, si giunge ad un gruppo di tre fosse murate apparentemente insignificanti. Era in questo luogo che, al termine delle cerimonie religiose, il sangue e le ossa degli animali sacrificati venivano restituiti alla terra da cui si erano originati, insieme al miele, al vino, all’olio e al latte delle libagioni. Questo accentuato senso della giustizia, questo rispetto dell’equità pervadevano l’intera Cnosso.
Poco è rimasto del vicino corpo di guardia, la cui funzione doveva essere più amministrativa che militare. E in effetti, una delle caratteristiche interessanti di tutti i palazzi minoici è che, fra le migliaia di manufatti ritrovati, solo un numero esiguo sono armi e anche queste rivestono per lo più carattere cerimoniale. Gli stessi edifici non presentano strutture fortificate e sembra che, per gran parte della loro storia, i Minoici siano vissuti in pace con i popoli vicini.
Il corpo di guardia segna l’ingresso alla via delle processioni, terminante con un’ampia rampa di scale che conduce al grandioso cortile. Qui il visitatore è accolto da uno degli stupefacenti affreschi a grandezza naturale che raffigurano così tanti aspetti del passato minoico: una processione di sacerdoti e sacerdotesse, che reggono fiaschi e versano bevande in offerta agli dei, incede con realistica solennità.
Al di là delle cantine di pietra si trova una stanza in cui sono stati ricreati alcuni vividi e drammatici affreschi minoici. Il più famoso illustra con stile avvincente, come una sorta di antica istantanea fotografica, la grazia e il coraggio dei saltatori dei tori mentre prendono parte a una manifestazione che è allo stesso tempo sportiva, rituale e di coraggio. Quando il toro carica, ciascuno di loro, uomini e donne, lo afferra per le corna e fa una capriola sulla sua schiena prima di ricadere con agilità a terra. Una sola mossa sbagliata poteva significare la morte.
Mentre in rapida successione ogni saltatore abbracciava e poi si sottraeva al toro lanciato, doveva essere difficile distinguere l’animale dall’uomo e si capisce perciò come abbia potuto originarsi l’immagine del Minotauro, per metà toro e per metà uomo. Si ignora se questi giochi si svolgessero nel grande cortile, ma indubbiamente la zona costituiva il punto focale della vita di palazzo, uno squarcio di spazio aperto nel vorticoso affaccendarsi quotidiano. Lo spoglio simbolismo delle case della consacrazione, che dominano il cortile con tutta la semplicità di moderne sculture, indica che quest’area era qualcosa di più di un luogo d’incontro per gli abitanti del complesso.
Nel fianco della collina, sopra il livello del cortile, era scavata l’ala est del palazzo. A un’estremità vi erano gli appartamenti reali, al lato opposto le botteghe dei carpentieri, dei vasai, dei tagliapietre e dei gioiellieri che fornivano agli occupanti le comodità e i lussuosi, artistici oggetti ritrovati nelle stanze. Agli appartamenti reali si accede dalla “Grande Scala” che, benché non molto imponente per dimensioni, lo è tuttavia per raffinatezza e qualità artistica. I pilastri neri e rossi, rastremati verso la base, circondano un pozzo di luce che rischiara non solo gli appartamenti sottostanti, ma costituisce anche una specie di mantice per il sistema naturale di condizionamento dell’aria del palazzo. Gli undici tramezzi delle porte e dei muri compresi fra esse, nella Sala del Re, potevano essere aperti e chiusi per regolare l’afflusso di aria fresca, profumata con timo selvatico e limone, proveniente dal colonnato posto all’esterno, mentre l’aria calda saliva dal pozzo della scala. In inverno, le porte potevano essere chiuse e alcuni focolari portatili venivano sistemati nell’ambiente per riscaldarlo.
Centro del potere era la stanza del trono, dove il re Minosse riceveva la corte. Fuori di essa vi è un grande bacile di porfido, collocato in quel punto da Arthur Evans perché riteneva che fosse usato dai visitatori nei rituali di purificazione prima di accedere alla camera più interna del palazzo. Questo particolare è emblematico: la Cnosso che noi vediamo è la straordinaria ricostruzione del Palazzo di Minosse nel 1600 a.C., secondo la visione di un archeologo inglese il cui unico intento era ricreare l’atmosfera dell’epoca d’oro dell’impero minoico.