L’esistenza di esseri che si cibano del sangue dei vivi non è un prodotto del XVII secolo ma affonda le sue origini nella notte dei tempi. Il vampirismo è un tema comune a molte antiche civiltà, basti pensare agli “Ekimmu” babilonesi o alla dea Lilith della tradizione ebraica.
L’ondata di vampirismo meglio documentata nel vecchio continente si verificò in Polonia e in Russia nel 1693. Secondo il quotidiano francese dell’epoca, Mercure Galant, fu un avvenimento terribile per tutti coloro che ne furono interessati: “Appaiono da mezzogiorno a mezzanotte e giungono a succhiare il sangue di persone e di animali vivi in tanta abbondanza che, talora, esce loro dal naso, ed in particolare dalle orecchie, e, talaltra, il corpo nuota nel sangue fuoriuscito nella bara. Essi sostengono che il vampiro ha una tale fame che mangia persino la stoffa che trova intorno a sé. Lo spettro o vampiro, o un demone in tale forma, esce dalla tomba e si aggira di notte abbracciando e afferrando violentemente amici e parenti per succhiare loro il sangue, fino a provocarne indebolimento e spossatezza e, infine, la morte. Tale persecuzione non si arresta a meno che non si interrompa il suo corso decapitando il corpo del vampiro o squartandolo“.
I vampiri non sono certamente un prodotto del XVII secolo, dal momento che la credenza nei morti che si cibano dei vivi è da sempre diffusa. La loro estensione cronologica è però impressionante: esistono documenti di vampirismo moderni, medievali, greci, romani, babilonesi ed ebrei. Gli antichi succhiatori di sangue babilonesi erano noti come “Ekimmu”, e sembra rappresentassero individui che, essendo andati incontro ad una morte orrenda, tornavano a divorare la carne e succhiare le vene dei vivi. Secondo la tradizione ebraica, la prima donna sulla Terra divenne un vampiro. La moglie di Adamo (prima della creazione di Eva) era Lilith, essendo stata creata da Dio dalla polvere, come Adamo, pretendeva di averne anche gli stessi diritti, che, però, le furono negati. Dopo un litigio sulla loro vita sessuale, Lilith volò fino al Mar Rosso e si unì ad una banda di demoni. Nonostante l’intervento di una delegazione di angeli, la donna non tornò più, e divenne un demone che si nutriva di bambini e seduceva gli uomini mentre dormivano, poi li mordeva, ne mangiava la carne e ne beveva il sangue.
Il documento antico più famoso riguardante i vampiri è opera dello scrittore greco Filostrato: si tratta de “La vita di Apollonio di Tyana“, il filosofo. Uno dei discepoli di Apollonio, povero ma meritevole, il bel giovane Menippo, fu ipnotizzato da una donna ricca e bellissima intenzionata a sposarlo. Sospettoso, Apollonio comparve il giorno delle nozze e smascherò la donna-vampiro, obbligandola ad ammettere che “stava ingrassando Menippo con i piaceri prima di divorarne il corpo, poiché era sua abitudine nutrirsi di corpi giovani e belli, essendo il loro sangue puro e forte“.
I vampiri sono presenti nel folklore e nelle leggende dell’Africa, dell’Asia orientale, dell’Australasia, del Vicino Oriente, delle Americhe e naturalmente dell’Europa, dove sembrano essere più diffusi, in particolare in Grecia e nei Balcani. In India, i “Baital”, esseri simili ai pipistrelli, erano temuti in quanto spiriti che possedevano e rianimavano i morti. Il Vrykolakas della Grecia rurale rappresentava ancora una minaccia nel 1900: quasi immediatamente dopo la propria morte egli sferrava una serie di attacchi agli abitanti dei villaggi, seminando terrore e scompiglio. In Romania, secondo la tradizione popolare, “vi era un tempo in cui i vampiri erano numerosi quanto fili d’erba, o bacche in un secchio, e non stavano mai quieti, bensì si aggiravano di notte tra la gente“.
Da tali testimonianze la credenza nel vampirismo pare dunque fermamente dimostrata e quasi universale. Perché si credeva che gli individui si trasformassero in vampiri? Innumerevoli ragioni ci vengono fornite dal folklore e dai documenti storici, e si va dalla sepoltura incompleta alla morte improvvisa, da coloro che morivano maledetti, non battezzati o scomunicati, a coloro il cui corpo era calpestato da un gatto mentre attendeva la sepoltura. Molti erano i modi per fermare i vampiri. Il metodo migliore consisteva nel seppellire i potenziali mostri in modo da costringerli a restare nella tomba. Pertanto venivano sepolti nelle paludi o, se il luogo era montuoso, sotto un cumulo di pietre, oppure a testa in giù, o inchiodati alla bara o al terreno nella tomba, o sotto oggetti pesanti. Pietre, cocci o monete venivano messi loro in bocca, affinché avessero qualcosa d’inoffensivo da succhiare, oppure la bocca veniva loro legata.
Se il vampiro si aggirava di notte minacciando i vivi, allora veniva fermato infilzandogli un palo nel corpo, tagliandogli la testa, bruciandogli il cuore o l’intero corpo. Il cadavere di una donna che perseguitava la Germania nel 1345 si rivelò particolarmente difficile da sconfiggere: vagava di notte sotto forma di un piccolo animale, che venne catturato e gettato in un fosso, il che peggiorò la situazione in quanto la strega furibonda seminò ancora più vittime sotto le spoglie di una bestia enorme e ripugnante. Allora ne venne riesumato il corpo, che secondo gli abitanti del villaggio, terrorizzati, mostrava evidenti segni di appartenenza ad un vampiro. Le trapassarono il petto con un palo e seppellirono nuovamente il corpo. Ma anche questo non funzionò e la strega-vampiro ricominciò ad aggirarsi di notte, questa volta usando il palo come arma contro le sue vittime. Il corpo dovette perciò essere riesumato per la seconda volta, e bruciato. Solo allora la donna non fu mai più rivista.
Nel corso del tempo, storici e studiosi di folklore hanno elaborato una pletora di teorie nel tentativo di giungere ad una spiegazione razionale e soddisfacente del fenomeno del vampirismo. Secondo una delle più antiche, i vampiri erano individui che erano stati sepolti vivi. In passato, si sono verificati numerosi casi di sepoltura prematura, e riesumare il cadavere di qualcuno che prima di morire aveva tentato di uscire dalla bara aiutandosi con le unghie, impressionava fortemente i testimoni. Molti vampiri, tuttavia, furono riesumati molto tempo dopo la sepoltura, ma nessuno comprendeva ferite alle mani che lasciassero presumere il tentativo di “fuggire” dalla bara.
Altri hanno suggerito che il vampirismo sia in realtà una malattia; quella più probabile è la porfiria, che causa ipersensibilità alla luce ed oggi viene curata con emoderivati. Tale teoria non ha però alcun fondamento medico e negli anni settanta la diffusione di tale notizia causò grande preoccupazione tra i pazienti, che temevano di essere vittime di abusi. La teoria più sensata è quella proposta dallo storico Paul Barber nel suo libro “Vampires, Burial and Death” del 1998. Ricorrendo ai risultati di studi anatomopatologici, egli dimostrò che molti dei segni utilizzati per riconoscere un vampiro, quali i corpi rossi in volto e gonfi di sangue, l’assenza della rigidità cadaverica e la crescita apparente di capelli ed unghie dopo la morte, potevano essere spiegati dai mutamenti perfettamente naturali che subentrano dopo la morte. Il sangue diventa più scuro in quanto l’ossigeno si esaurisce, gli organi interni si decompongono, producendo gas che gonfiano il corpo, la rigidità svanisce abbastanza rapidamente, e la crescita apparente di unghie e capelli è una conseguenza della retrazione della cute. Prima dell’avvento degli studi anatomopatologici, afferma Barber, il modo più semplice per spiegare tali cambiamenti era che l’individuo vivesse ancora.
Sebbene gran parte di ciò che sostiene Barber contribuisca a spiegare perché si sia tanto diffusa la credenza nel vampirismo, non affronta in realtà, la questione del perché particolari individui venissero identificati come vampiri. Lo storico osserva che le vittime di omicidi, di suicidi e di pestilenze erano i candidati più probabili a diventare vampiri. Secondo Barber, la spiegazione sta nel fatto che tutti e tre i gruppi venivano seppelliti inadeguatamente, e che i loro cadaveri venivano scoperti da cani o altri animali che si nutrivano di carogne; ciò faceva sì che venissero etichettati come vampiri. Se tale fatto sembra plausibile per le vittime della peste, chi muore assassinato o si suicida viene spesso seppellito in una normale bara (sebbene nelle comunità cristiane i suicidi non venissero interrati in luoghi consacrati). Non sembra perciò esserci una valida ragione per pensare che la loro sepoltura potesse comportare problemi. A questo punto è necessario rivolgersi nuovamente al soprannaturale. Gli individui che avevano avuto una morte “atroce” (oltre alla peste, all’omicidio e al suicidio, fini orrende erano considerate la morte per parto, la morte lontano da casa o per opera di stregonerie) erano coloro che con più probabilità non sarebbero rimasti nelle loro tombe, e si sarebbero trasformati in vampiri. Essi erano perciò oggetto di “trattamenti speciali”.
Per esempio, in Gran Bretagna dal V secolo in avanti, fino all’emanazione di un’opportuna legge nel 1823, i suicidi erano solitamente seppelliti agli incroci delle strade. Un’interpretazione contemporanea di tale pratica era che il segno della croce avrebbe allontanato il diavolo. Una spiegazione più plausibile, dato che tali sepolture venivano praticate al di fuori del mondo cristiano (una è menzionata nelle “Leggi” del grande filosofo greco Platone), è che gli incroci costituivano il punto di incontro fra due confini e perciò era come se i suicidi venissero sepolti nella terra di nessuno. Se fossero poi tornati dal mondo dei morti e avessero cercato di vampirizzare la comunità, sarebbero stati confusi dall’alternativa delle possibili direzioni da prendere. Il corpo del suicida veniva spesso impalato o appesantito, pratica che ha poco a che fare con i rituali cristiani e si addice meglio ad un’interpretazione che coinvolge aspetti legati al vampirismo: ossia, si temeva davvero che i morti tornassero ad infastidire i vivi, magari sotto forma di vampiri.