La letteratura parapsicologica è ricca di resoconti e aneddoti relativi a fenomeni di bilocazione. Nel 1966, la dott.ssa Celia Green pubblicò un libro nel quale raccolse numerose testimonianze al riguardo, proponendo una nuova classificazione dei viaggi astrali tuttora ampiamente utilizzata.
Le cosiddette “visioni autoscopiche” (durante le quali si sperimenta la visione del proprio corpo al di fuori di esso) rientrano nella casistica più generale dei cosiddetti fenomeni di “sdoppiamento” o “esperienze fuori dal corpo“. Il termine “sdoppiamento”, in tal caso, non va inteso come “dissociazione della personalità” bensì come sinonimo di “bilocazione”.
Nel 1966, Celia Green, pubblicò un libro dal titolo “Out of the Body Experiences” pubblicato successivamente in Italia col titolo di “Esperienze di bilocazione“. In tale opera, l’autrice, già direttore dell’Istituto di Ricerche Psicofisiche di Oxford, raccolse e analizzò numerosi resoconti di “prima mano” nei quali il soggetto aveva avuto la sensazione di “osservare le cose” da un punto di vista situato al di fuori del proprio corpo fisico. La dottoressa divise l’intera casistica dei fenomeni di bilocazione in due categorie ben distinte: la prima, definita “parasomatica”, in cui il soggetto aveva l’impressione di possedere un secondo corpo (di norma definito come “doppio”, “copia gemella”, etc) mancante totalmente di caratteristiche fisiche; la seconda, definita “asomatica”, in cui il soggetto conservava soltanto la coscienza di sé, come se fosse un essere temporaneamente disincarnato.
“Guardai in giù, verso la seconda me stessa e trovai che era una perfetta replica del mio essere materiale. Toccai i miei vestiti, mi guardai e fui stupita di constatare che portava la stessa gonna nera e la stessa camicetta bianca a pallini rossi, le stesse scarpe, etc“. Questo genere di descrizione riporta alla mente tutti quei fenomeni di apparizioni di cui è ricca la letteratura parapsicologica. Questo tipologia di “fantasmi”, come si è soliti chiamarli, appaiono a volte così chiari e nitidi nei dettagli, al punto da poter essere scambiati per persone viventi. Si è potuto stabilire che nei fenomeni di bilocazione nei quali il soggetto non si rende immediatamente conto del suo stato anormale, vi sia una netta somiglianza dei due corpi.
A tal proposito, ecco il caso di una signora che raccontò di aver abbandonato il suo corpo di notte dopo essersi destata per un raggio di luce filtrante da sotto la porta della sua camera da letto: “Mi alzai per vedere se di là avessero dimenticato la luce accesa. Intanto, mi sentivo invasa da un senso di pace e di armonia; avvertivo un grande benessere interiore. In tale stato, tornai nella mia camera da letto ed ebbi l’impressione di sedermi su una sedia. Dopo un po’, essendomi alzata con l’intenzione di ritornare a letto, fui presa dal panico al vedere il mio letto occupato. Era dunque il mio corpo, quello che se ne stava immobile: ed io lo scorgevo distintamente. Nello stesso istante, come sollecitata da una forza invincibile, fui spinta e compressa fino ad identificarmi con esso. L’impressione fu penosa. Mi sentivo veramente male ed il cuore mi batteva forte e velocemente, non riuscivo quasi più a respirare né a muovermi“.
In questi casi può anche succedere che il punto di osservazione non sia localizzato sul doppio, bensì al di fuori di questo, su un’entità spaziale di altro genere. Gli esempi seguenti illustrano tali possibilità:
“Mi sembra di essere un occhio acceso di un diametro di circa 5 centimetri. Era come se io, la mia parte pensante, fossi contenuto in un piccolo occhio“.
“Non avevo né forma né sostanza, mi sembrava di avere un campo di osservazione vagamente ovale nella forma, largo circa 70 centimetri e profondo circa 30 centimetri“.
“Sono disincarnato ma in un piccolo spazio che ha una misura e una posizione definita“.
In alcuni fenomeni di bilocazione è avvenuto che soggetti afflitti da difetti sensoriali specifici, durante tali escursioni riacquistassero improvvisamente l’uso del senso minorato. Soggetti che nello stato normale erano sordi o parzialmente ciechi, durante le esperienze extracorporee “sentivano” e “vedevano” distintamente.
“Sospesa a mezz’aria, uscii dalla porta della mia camera. Salii le scale ed entrai nella camera semibuia della mia nipotina. Sul comodino vi era un libro aperto e non trovai nessuna difficoltà a leggere due pagine, cosa che mi sarebbe stata impossibile tramite il mio corpo fisico, senza gli occhiali“.
Un soggetto che aveva perso il gusto e l’olfatto in seguito ad una frattura cranica raccontò: “Avevo appena cominciato a riacquistare deboli tracce di odorato ma, durante quest’esperienza il mio odorato era normale e, suppongo, anche il gusto, se nell’esperienza fosse entrato il cibo. Sentivo ogni odore nella stanza, ma quando ridiventai normale ero (e sono tuttora) nelle medesime condizioni di prima, cioè con gusto e odorato debolissimi“.
Le esperienze asomatiche si distinguono da quelle parasomatiche per il fatto che il soggetto non si configura con alcuna forma corporea ma definisce se stesso in quella precisa situazione come “energia pensante“. Vi sono casi in cui il soggetto dice: “Non ricordo di aver avuto sensazioni di gambe o di braccia, eppure mi sentivo completo“.
Altre volte, invece, sebbene il soggetto non prendesse in considerazione il fatto di essere “pura energia“, si rendeva conto del proprio corpo fisico attraverso la normale coscienza.
“Ero seduta su un alto cassettone a circa 15 centimetri dal soffitto e guardavo me stessa addormentata nel letto“.
“Vidi il mio corpo disteso sul letto e provai ad uscire dalla finestra, ma era aperta solo 5 centimetri, e non mi fu possibile“.
Infine, in numerosi altri casi, il soggetto si rendeva conto di essere “disincarnato” solo quando tentava di agire sulla materia come se possedesse un normale corpo fisico.
“Guardavo il mio corpo addormentato sul letto. Sentendomi perplesso, alzai la mano a toccarmi il capo, ma non avevo capo“.
“Dapprima lo trovai divertente, pensai che non fosse possibile. Sono qui in alto e allo stesso tempo giù distesa nel mio letto; pensai di svegliare mio marito e raccontarglielo, ma non mi pareva di avere mani per scuoterlo o toccarlo: la sola cosa che potevo fare era vedere“.