Loch Ness, in Scozia, costituisce la più imponente massa d’acqua dolce del Regno Unito oltre che la dimora di un gigantesco mostro acquatico presente nelle cronache locali da ben 1.400 anni. Il famigerato mostro di Loch Ness, nonostante le numerose ricerche condotte nella zona, continua a celarsi nelle oscure acque del lago.
Le prime storie relative al celebre mostro di Loch Ness risalgono all’Anno Domini 565, quando pare che lo straordinario animale sia stato avvistato per la prima volta da Colomba, un monaco irlandese. Secondo il suo biografo, Sant’Adamnano, un discepolo di San Colomba stava attraversando il lago a nuoto per andare a prelevare una barca per il suo maestro sulla sponda opposta, allorché il mostro emerse dall’acqua “con un grande rumore e la bocca spalancata“.
Sempre stando al resoconto, gli spettatori presenti alla scena furono colpiti “da un grande terrore“. Ma San Colomba, facendo il segno della croce e invocando l’Onnipotente, respinse il mostro con queste parole: “Non pensare di poter avanzare ancora. Né di toccare quell’uomo. Presto, ritirati!” e la bestia ubbidì. C’è da dire che da allora non ha mai fatto del male ad alcuno. Né risulta che lo avesse fatto prima.
Il racconto di Adamnano può essere un grande argomento a favore dell’efficacia della preghiera, ma resta piuttosto vago per quanto riguarda i caratteri del mostro. In realtà, per quattordici secoli non si è mai riusciti ad averne una descrizione chiara e completa, nonostante gli innumerevoli avvistamenti. Almeno, fino al 1933, quando un chirurgo londinese, che passava in auto nei pressi del lago, scattò la prima immagine fotografica del mostro. La foto mostrava un lungo collo che si inarcava sull’acqua partendo da un corpo tozzo, ed era stata scattata, secondo il chirurgo, a una distanza di 2-300 metri, nei pressi di Invermoriston.
Quella prima fotografia venne pubblicata sul Daily Mail di Londra, provocando una valanga di lettere e una polemica destinata a prolungarsi per molti anni. Secondo gli scettici, la foto riproduceva solo un ammasso di materie vegetali portato in superficie da sacche di gas, o la punta della coda di una lontra ingrandita dal fotografo. Altri sostenevano invece che l’immagine corrispondeva perfettamente alle descrizioni fornite dalle molte persone che affermavano di aver visto la mostruosa creatura e che, in ogni caso, era improbabile che un eminente chirurgo avesse voluto mettere a repentaglio la propria reputazione per uno stupido scherzo.
Mentre naturalisti e zoologi tendevano ad evitare l’argomento, alcuni studiosi più arditi premevano perché si facessero ulteriori ricerche e si cercassero prove più concrete. Prove che, del resto, continuavano ad arrivare in genere a personaggi che non erano particolarmente interessati al mostro. Personaggi come Lachlan Stuart, un taglialegna che viveva sulle rive del lago. Una mattina del 1951, alle sei e mezzo, mentre andava a mungere le mucche, Stuart notò una turbolenza nelle acque del lago, poi gli apparvero tre protuberanze che procedevano allineate in direzione della riva.
Stuart corse in casa, afferrò la macchina fotografica e convinse un amico di famiglia a seguirlo perché gli facesse da testimone oculare dell’avvenimento. Riuscì quindi a scattare un’immagine del mostro, prima che svanisse. La foto di Stuart, scattata da una cinquantina di metri, ebbe larga risonanza, come l’aveva avuta quella eseguita diciotto anni prima dal chirurgo. Ma la maggior parte della gente cominciò a rimanere scettica di fronte a questa “prova” come di fronte a tutte le altre dimostrazioni fotografiche dell’esistenza del mostro di Loch Ness.
La prima ripresa cinematografica di un “qualcosa” che sarebbe potuto essere Nessie (questo è l’affettuoso nomignolo che i giornali hanno affibbiato al mostro), ebbe luogo nel 1960. L’operatore fu un certo Tim Dinsdale, un ingegnere aeronautico, il quale era così convinto dell’autenticità della sua registrazione da dare un calcio alla professione e andare a vivere su una piccola imbarcazione, sul lago, per dedicarsi alla ricerca a tempo pieno dell’inafferrabile creatura.
L’entusiasmo di Dinsdale infiammò altri ricercatori e contribuì a preparare la strada per un approccio più scientifico al problema dell’esistenza del mostro. Nel 1961, dietro la spinta di due naturalisti e del deputato David James, che ne divenne il responsabile, venne fondato un Ufficio Investigativo sui fenomeni di Loch Ness. L’ufficio raccolse, controllò e pubblicò tutti i resoconti di avvistamenti e arruolò studenti e altri volontari per manovrare, durante i mesi estivi, le cineprese sistemate nei punti strategici, tutt’attorno ai 36 chilometri delle sponde del lago.
Il campo visivo di ogni cinepresa si sovrapponeva a quello delle cineprese vicine, così che tutto il lago venne tenuto sotto osservazione in maniera continua. Ma le prove così raccolte non diedero alcun risultato, come pure le riprese effettuate da équipe delle televisioni britannica e giapponese, che avevano sperato di riuscire a registrare le apparizioni e il comportamento di Nessie con l’aiuto di più moderne apparecchiature scientifiche.
Un’analoga spedizione venne organizzata nel 1969 dal sommergibile Pisces, attrezzato con telecamere subacquee a bassa luminosità, circuiti chiusi televisivi e apparecchiature per videoregistrazioni. Il tentativo fu compiuto anche con l’aiuto di un sottomarino monoposto, il Viperfish, e di una squadra di esperti sonar. Nel frattempo, telecamere sopraelevate controllavano costantemente la superficie del lago durante il giorno, e una macchina a raggi infrarossi continuava il “pattugliamento visivo” anche di notte.
L’equipaggiamento della spedizione comprendeva anche una macchina per fare rumore, presa in prestito dalla marina militare, con cui si sperava di disturbare il mostro e di costringerlo a muoversi. Inoltre, venne immersa nel lago una nauseabonda esca di mostruose proporzioni adeguata alla preda braccata. Pesava una ventina di chili ed era costituita da polvere di sangue animale, ormoni di serpente e altri terrificanti ingredienti suscettibili di eccitare la golosità del mostro.
Nonostante tutto, Nessie rimase timido e riservato com’era sempre stato; né un suono né un’immagine apparvero sulle telecamere o sugli schermi sonar. L’unico apprezzabile contributo scientifico di tutta quella complessa spedizione fu quello fornito dal sottomarino Pisces: immergendosi presso Castle Urquhart, il suo equipaggio scoprì con l’eco sonda che, in quel punto, la profondità del lago era di circa 70 metri, superiore a quanto si credesse, e che sul fondo di esso si apriva una vasta caverna, prima sconosciuta. Era stata scoperta la tana del mostro? È possibile; ma non c’era traccia del suo abitatore, che non diede segno di vita. Alla fine, la spedizione abbandonò il campo, mentre il suo organizzatore si doleva della “fine di una leggenda”.
Nel novembre 1975, un’équipe americana riuscì a scattare una nuova fotografia del mostro. Stavolta, anche gli studiosi più scettici rimasero scossi. Un naturalista di fama, Peter Scott, la definì la prova sicura dell’esistenza dell’animale. Il gruppo di ricerca americano era diretto da Robert Rines, presidente dell’Accademia delle Scienze Applicate del Massachussetts ed utilizzò una macchina fotografica da 16 mm a motore che, sospesa alla chiglia della barca a una profondità di 14 metri, scattava col teleobiettivo una foto ogni 75 secondi.
Molte di quelle foto sembrarono rilevare la presenza di un animale rossiccio-bruno, lungo circa 4 metri, con un muso orribile e un collo flessibile di circa 3 metri. Per David James fu la dimostrazione “incontrovertibile” dell’esistenza del mostro, tanto che presentò un’interpellanza al governo perché Nessie fosse difeso “in base alla legge sulla protezione degli animali“.
Le più recenti ricerche sul “mostro di Loch Ness” sono quelle compiute nel 1979 e all’inizio del 1980 con immersioni di operatori televisivi d’eccezione: alcuni delfini addestrati ad avviare la telecamera montata sul loro corpo, una volta giunti in prossimità di “qualcosa di interessante“. Anche in questo caso, le prove raccolte non hanno permesso di accertare in maniera definitiva il mistero di Loch Ness. Ammesso che il mostro esista, che genere di creatura sarebbe? David James considerava cinque possibilità; un mammifero, come una specie di foca dal lunghissimo collo; una salamandra o un altro anfibio dalla coda lunga; un pesce, come ad esempio un’anguilla gigante; un mollusco, tipo un’enorme lumaca di mare; o, infine, un componente della famiglia dei Plesiosauri, rettili mangiatori di pesci che ufficialmente si sono estinti settanta milioni di anni fa. I partigiani della teoria dei plesiosauri fanno notare che anche il celacanto, un pesce preistorico, si credeva estinto, finché non ne è stato catturato un esemplare nel 1938.
Alcuni studiosi hanno avanzato la supposizione che una famiglia di creature preistoriche sia rimasta insabbiata verso la fine dell’ultima era glaciale, in quello che poi è diventato il lago di Loch Ness. Ciò sarebbe accaduto tra i 10.000 ed i 15.000 anni or sono. L’argomentazione dei seguaci di questa teoria è la seguente: allorché la cappa di ghiacci si ritirò, il livello delle acque del mare nell’emisfero settentrionale dovette aumentare in modo considerevole, a causa dei ghiacci disciolti. Numerose gole e vallate vennero inondate e si trasformarono in fiordi; è dunque possibile che qualche plesiosauro, mentre pascolava nelle acque del fiordo, sia stato trascinato dalla corrente alluvionale fin dentro il lago di nuova formazione, e vi sia sopravvissuto fino ad oggi, quasi del tutto inosservato.
Anguilla o lumacone, foca o plesiosauro che sia, il mostro di Loch Ness non è un fatto unico, poiché analoghe apparizioni vengono riferite in diversi altri luoghi. I racconti su queste apparizioni non sono più probanti o definitivi di quelli di Nessie, ma sono sufficienti a porre seriamente il quesito se esista una “cintura dei mostri” che corre lungo tutto l’emisfero boreale.