L’incendio del Reichstag del 1933 favorì la scalata al potere da parte di Hitler e del Partito Nazista. Sebbene il presunto responsabile venne individuato in un giovane comunista di nome Van der Lubbe, giustiziato l’anno seguente, molti commentatori moderni credono che si sia trattato solo di una messa in scena architettata dal Fuhrer.
Marinus Van der Lubbe, un comunista olandese di ventiquattro anni, fu giustiziato il 10 gennaio 1934 dopo essere stato accusato di incendio doloso. In base alla sentenza del tribunale che lo aveva giudicato, il suo crimine fu quello di aver appiccato il fuoco che devastò il Reichstag, l’edificio berlinese che ospitava il Parlamento tedesco. A distanza di anni, molti storici si chiedono se fu davvero Van der Lubbe l’autore di tale gesto oppure se fu solo un capro espiatorio scelto da Adolf Hitler per perseguire i suoi scopi. Di fatto, quell’incendio costituì una vera e propria pietra miliare nella storia tedesca perché permise ad Hitler di impadronirsi del potere.
Il primo a segnalare il giovane incendiario fu uno studente di teologia, Hans Flotter, che si trovò a passare davanti all’angolo sud-ovest dell’edificio poco dopo le 21:00 del 27 febbraio 1933. Flotter, sentendo un rumore di vetri infranti guardò in alto e vide un uomo a un balcone del primo piano, con in mano qualcosa che bruciava. Lo studente corse ad avvertire un sergente di polizia, che si precipitò verso l’entrata dell’edificio. Il poliziotto sparò un colpo di rivoltella in direzione di un uomo che sembrava portasse una torcia accesa e passava da una finestra all’altra del primo piano.
Alle 21:40, una sessantina di idranti tentavano di arrestare l’incendio del Reichstag, ma già la sala delle assemblee era in preda alle fiamme e altre pareti del palazzo crollavano. Nella sala Bismarck, un poliziotto arrestò un uomo grondante di sudore e nudo fino alla cintura. Il suo passaporto riportava il nome di Van der Lubbe. Interrogato sui motivi del suo gesto, disse ai poliziotti che l’arrestavano: “È una protesta!“. Poi confessò di aver tentato, senza successo, di appiccare il fuoco ad altri tre edifici politici.
L’effetto politico dell’incendio del Reichstag fu straordinario. Contribuì ad elevare Hitler, che a quell’epoca era cancelliere da soli 27 giorni, al rango di Fuhrer del Terzo Reich. Quando apprese da Hermann Goering le notizie dell’incendio e dell’arresto di Van der Lubbe, si dice che Hitler abbia esclamato: “È un segno del cielo. Questo è l’inizio della rivolta comunista. Ogni funzionario comunista deve essere abbattuto. I loro gregari siano impiccati questa notte stessa, non ci deve essere misericordia“. Questi gli ordini della propaganda hitleriana. I nazisti avvertivano infatti il bisogno di aizzare il popolo contro i comunisti sebbene avessero la rappresentanza parlamentare più cospicua. La sinistra bloccava loro la via verso il potere assoluto. Nel corso della notte, 5.000 comunisti vennero così arrestati, e quattro capi del partito furono accusati di complicità nell’incendio. Nelle elezioni generali del 5 marzo 1933, i nazisti non riuscirono comunque ad assicurarsi i due terzi di maggioranza che erano necessari per avere la supremazia. Ebbero solo il 44% dei voti. Ma in assenza dei deputati comunisti, esclusi dalla seduta, Hitler riuscì a indurre il Parlamento ad attribuirgli i supremi poteri dello stato.
Gli esperti del comando dei pompieri di Berlino espresso l’opinione che l’incendio del Reichstag non poteva essere stato opera di un solo individuo e che aveva richiesto l’appoggio di almeno sei o sette complici. Nonostante ciò, i giudici assolsero quattro dei supposti complici di Van der Lubbe.
Benché Hitler attribuisse l’incendio ai comunisti e a Van der Lubbe, un povero ritardato mentale, il resto del mondo non ebbe dubbi che fossero stati i nazisti stessi a porre in atto l’attentato. I comunisti sostennero che Goering e un gruppo di complici avevano raggiunto il Reichstag attraverso un passaggio sotterraneo, avevano appiccato il fuoco e si erano eclissati per la stessa via. Al processo di Norimberga, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il generale Franz Halder, capo dello stato maggiore tedesco, riferì che Goering nel 1942 si era vantato dicendo: “L’unica persona che sa come sono andate le cose al Reichstag sono io, perché sono io che l’ho incendiato“.
Goering negò di aver fatto una simile dichiarazione. Ma la sorpresa finale giunse vari anni dopo la guerra, quando alcuni storici giunsero alla conclusione che c’era stato un triplice gioco, di cui anche i nazisti erano rimasti vittime. Van der Lubbe, a quanto sembra, aveva appiccato il fuoco di sua spontanea volontà, usando quattro esche di materiale infiammabile e una scatola di fiammiferi. Gli uomini di Goering, venuti a conoscenza delle intenzioni del giovane, si erano probabilmente limitati a sfruttare l’occasione, ostacolando l’opera dei pompieri e favorendo indirettamente il propagarsi delle fiamme.