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La finta morte del Delfino di Francia
20 Lug 2017

La finta morte del Delfino di Francia

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Nonostante i documenti ufficiali affermino che Luigi Carlo, figlio di Luigi XVI e di Maria Antonietta, sovrani di Francia al tempo della Rivoluzione, sia morto in prigione nel giugno del 1795, numerose testimonianze dell’epoca affermano che il Delfino di Francia sia riuscito a salvarsi grazie ad una sostituzione di persona.

Luigi Carlo Delfino di Francia

Luigi Carlo Delfino di Francia

Gli eredi della ricchezza dei Borboni di Francia potrebbero vivere nell’oscurità, in qualche parte del mondo, ignari del proprio diritto alla fama e alla fortuna. Potrebbero essere i discendenti del Delfino di Francia Luigi Carlo, duca di Normandia, figlio di Luigi XVI e di Maria Antonietta, morto ufficialmente l’8 giugno 1795, a dieci anni di età.

Quando i suoi genitori furono giustiziati, nel 1793, Luigi Carlo rimase in prigione, in attesa che il governo repubblicano decidesse la sua sorte. Diciassette mesi più tardi, ne fu annunciata la morte, avvenuta per “vizio scrofoloso”. Cinque persone testimoniarono che il cadavere era quello del Delfino di Francia sebbene nessuno di essi avesse mai visto il ragazzo vivo. Sua sorella, che si trovava nella stessa prigione, non fu neppure consultata. E quando il funerale ebbe luogo, varie persone si domandarono come mai venisse usata una bara così grande per un fanciullo. Tutti questi elementi portarono a sospettare che ci fosse stata una sostituzione di persona.

I Simon, una coppia di coniugi che erano stati incaricati della custodia del Delfino di Francia, vennero improvvisamente esonerati dal loro compito il 19 gennaio 1794, quando Luigi Carlo era un robusto e irrequieto ragazzo di nove anni. Circa sei mesi più tardi, il deputato Paul Barras, che presto sarebbe diventato una specie di dittatore in Francia, visitò il prigioniero e si trovò davanti un ragazzo che appariva pericolosamente ammalato.

Quello stupefacente mutamento delle condizioni del prigioniero fu spiegato vent’anni dopo dalla donna che era stata la sua carceriera. Alle suore che la curavano in ospedale, disse che lei e il marito avevano fatto entrare di soppiatto un altro ragazzo nella prigione e lo avevano sostituito al giovane principe il giorno della loro partenza. La donna non volle aggiungere altro, ma continuava a ripetere “il mio piccolo principe non è morto“.

Questa storia collima, entro certi limiti, con gli eventi che seguirono la visita di Barras alla prigione. Un nuovo carceriere fu assunto, e questi disse che il ragazzo era un impostore. Barras immediatamente fece ricercare segretamente il Delfino di Francia, in tutto il paese. Nel frattempo, altri funzionari governativi visitarono il carcere. Uno aveva concluso che il fanciullo era sordomuto, un altro lo descrisse come “la più miserevole creatura che abbia mai visto“. Un noto banchiere di nome Petitival dichiarò che il certificato di morte del Delfino era un falso. Meno di un anno dopo, fu assassinato con tutta la sua famiglia. Quando Barras riferì il fatto ai colleghi di governo, disse che nella casa dei Petitival tutti erano periti “tranne il bambino che sapete“.

Da ciò è possibile dedurre che la ricerca di Barras aveva avuto successo, e che il governo francese fosse al corrente che il ragazzo si trovava in casa Petitival. Ma, allora, chi era il bambino morto in prigione? Quando il suo corpo fu esumato, nel 1846, due medici dichiararono che si trattava di un ragazzo di 15 o 16 anni. Nel 1894 le ossa furono esaminate di nuovo, e il verdetto fu che i resti appartenevano a un ragazzo fra i 16 e i 18 anni. Qualunque fosse il responso, una cosa era certa: il corpo trovato nella bara non poteva essere quello del Delfino di Francia.

Dopo la caduta di Napoleone, nel 1815, la monarchia dei Borboni fu restaurata, e subito cominciò una processione di Delfini: ben 27 pretendenti si presentarono a reclamare il titolo. Si trattava evidentemente di una folla di imbroglioni, come Jean-Marie Hervegault, figlio di un sarto, o il mitomane Mathurin Bruneau.

Poi, nel 1833, apparve sulla scena Karl Wilhelm Naundorff. Aveva delle prove molto convincenti a sostegno della sua affermazione di essere l’erede scomparso. Fu riconosciuto come tale tanto dalla nutrice del Delfino, quanto dal Ministro della Giustizia di Luigi XVI. La sorella del Delfino, invece, rifiutò ostinatamente di incontrare Naundorff, benché le venisse detto che l’uomo presentava una forte somiglianza con altri membri della famiglia. I sostenitori di Naundorff presero questo rifiuto come una conferma della serietà del “pretendente”: era noto che la principessa sosteneva i diritti di suo zio, Carlo X, come re legittimo.

La storia raccontata da Naundorff non si conformava all’ipotesi, generalmente accettata, che fossero stati i carcerieri a portare in salvo di nascosto il bambino. Naundorff sosteneva che era stato Barras a farlo trasferire in un’altra parte del carcere e a far mettere un altro ragazzo al suo posto. Il giorno in cui il sostituto era morto, avevano fatto uscire il Delfino di Francia di nascosto e l’avevano portato prima in Italia, poi in Prussia, dove aveva assunto il nome di Naundorff.

Per sostenere il proprio diritto al titolo regio, Naundorff iniziò un’azione legale, ma fu prontamente arrestato ed espulso dalla Francia. Andò allora a Londra, dove sfuggì a un attentato contro la sua vita. Nove anni più tardi morì in Olanda: sul suo certificato di morte le autorità annotarono: “Luigi Carlo di Borbone, età anni 60, figlio di Luigi XVI e di Maria Antonietta“.

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