Il ritrovamento di migliaia di reperti di origine incerta, avvenuto ad inizio ‘900 a Glozel, in Francia, rappresentò un vero e proprio rompicapo archeologico. Il dibattito si riaccese negli anni ’70 grazie all’utilizzo di nuove tecniche di analisi per stabilirne la datazione.
Il sito di Glozel, situato nel cuore della Francia, in vicinanza della nota cittadina di Vichy, costituì per gli scienziati e gli archeologi degli anni ’20 un intricato enigma. Tutto ebbe inizio quando nel marzo del 1924 una mucca cadde in un crepaccio all’interno della fattoria appartenente alla famiglia Fradin. Il diciassettenne Emile Fradin, aiutato dal nonno, allargò la fossa e trovò una lastra ovale che ricopriva una superficie di circa due metri e mezzo, circondata da pietre; su di essa vi erano vetro e mattoni dalla superficie vitrea, uno dei quali recava strani segni.
Un archeologo visitò il luogo poco dopo e comunicò ai Fradin che avevano scoperto una fornace per il vetro di epoca romana o medievale, ma un’alternativa molto più allettante stuzzicò la loro immaginazione. Gli insegnanti locali suggerirono che fosse una fossa per la cremazione e che potessero essercene molte altre; uno di questi prese Emile, intelligente ma poco istruito, sotto la sua protezione, e gli prestò alcuni libri di archeologia in modo che sapesse che cosa cercare.
Fino a quel momento, Glozel era stata oggetto di ricerche amatoriali, ma nei primi mesi del 1925 divenne teatro di scavi sistematici. Albert Morlet, un medico della vicina stazione termale di Vichy, appassionato della Francia romana, giunse sul luogo e confermò ai Fradin che avevano messo le mani su di un sito archeologico importante, che una volta recintato, avrebbe potuto produrre reperti di valore.
Morlet acquistò i diritti esclusivi di scavo e di pubblicazione dei risultati, e insieme ad Emile cominciò a scavare. Le loro scoperte furono però oggetto di controversie. Immediatamente sotto la superficie del pendio, che denominarono “il campo dei morti”, fu rinvenuto un gran numero di reperti di diversa natura: ossa scolpite come quelle trovate nelle caverne francesi dell’età della pietra, con figure di cervi e cavalli, e talora recanti lettere e persino iscrizioni intere, piccole facce grottesche degli abitanti di Glozel, delle dimensioni approssimative di tre centimetri. Vi era poi il materiale di età più recente, incluse asce di pietra levigata e vasi grezzi con facce ed iscrizioni simili a quelle incise sulle ossa.
I ritrovamenti più enigmatici furono una decina di mattoni ricoperti di iscrizioni in una lingua sconosciuta, che assomigliavano alle tavolette d’argilla del vicino Oriente. In tutto furono portati alla luce cinquemila oggetti che furono esposti nel piccolo museo creato dai Fradin. Dopo aver messo insieme una straordinaria collezione, Morlet avanzò l’ipotesi che la cultura di Glozel dovesse essere fiorita alla fine dell’ultima era glaciale, intorno all’8000 a.C.
Il carattere singolare dei ritrovamenti di Glozel indusse molti archeologi francesi a considerarli con freddezza, fatta eccezione di Salomon Reinach, direttore del Museo Nazionale di Antichità a Saint-Germain, che fornì agli scopritori un grande sostegno. Egli sottolineò l’antichità sia delle ceramiche sia delle iscrizioni, proclamando la Francia il centro della civiltà antica. Glozel divenne famosa, e un flusso costante di visitatori si recò al museo e al caffè che i Fradin avevano avviato con i primi ricavi.
A molti le circostanze della scoperta parvero sospette. I ritrovamenti erano confusi e materiali di periodi diversi erano mescolati insieme. Questi provenivano da uno strato di terreno sottile che non presentava segni di appartenenza ai periodi in questione. Non vi erano fosse o piani in cui potevano essere stati conservati i reperti, e tuttavia molti dei vasi furono trovati interi, contrariamente a quanto avviene di solito. Vi erano poi le misteriose tavole intraducibili, come non ne erano mai state trovate in Francia. L’analisi di alcune delle ossa intagliate e delle asce di pietra sembrò dimostrare che erano state lavorate con utensili metallici. Inoltre, il conservatore di un museo vicino affermò di essersi rifugiato durante una tempesta nelle stalle dei Fradin e di aver visto alcune delle tavole incise ma non ancora cotte.
Per placare tale dibattito imbarazzante, nel 1927 il Congresso Antropologico Internazionale inviò una commissione di archeologi ad esaminare il sito. Scegliendo dei punti a caso, iniziarono a scavare ed il primo giorno non trovarono nulla. Il secondo cominciarono a trovare materiale glozeliano, e sospettarono che fosse stato seppellito durante la notte, in particolare una tavoletta incisa rinvenuta sul fondo di una porzione di terra bruna e smossa, completamente diversa dal suolo grigio circostante. In un tentativo di impedire che venissero sepolti reperti durante la notte, la commissione cosparse le fosse con polvere di gesso. La mattina seguente, mentre controllava la situazione, la giovane archeologa inglese Dorothy Garrod fu vista da Morlet, il quale l’accusò di aver tentato di seppellire reperti per screditarlo.
I rapporti non furono più gli stessi ed i glozeliani si convinsero che la commissione fosse prevenuta contro di loro. Pertanto, non furono sorpresi della sua conclusione: “Basandoci sulle nostre osservazioni e pareri unanimi, abbiamo concluso che tutto ciò che siamo stati in grado di studiare a Glozel non è molto antico“. Esasperati, Reinach e Morlet costituirono l’anno seguente una propria commissione che, naturalmente, emise un verdetto favorevole sul sito. Nel frattempo, tuttavia, la polizia aveva fatto irruzione nella fattoria dei Fradin ed aveva requisito tutti i reperti del museo. Vennero effettuati alcuni test, dai quali risultò che la ceramica era molle e si scioglieva in acqua, che alcuni dei vasi di argilla contenevano muschi e cotone e pertanto non potevano essere stati cotti, e che gran parte delle ossa e degli oggetti di pietra era stata creata usando utensili d’acciaio. La Società Preistorica Francese intentò un’azione legale per frode contro “ignoti”, la quale venne approvata dal tribunale. Ma quando Emile Fradin venne accusato direttamente di frode, intentò una causa per risarcimento danni e vinse. Tuttavia, gli venne accordato un solo franco, il che non fu certo un trionfo clamoroso.
Negli anni ’50 l’affare Glozel venne generalmente considerato una frode, incoraggiata da archeologi eccessivamente zelanti e poco critici, e venne tranquillamente accantonato. Poi, nel 1974, Glozel uscì improvvisamente dall’ombra. Vari oggetti iniziarono ad essere ridatati utilizzando il metodo relativamente nuovo della termoluminescenza. I reperti di Glozel vennero così datati tra il 600 a.C. ed il 200 d.C. Ovvero un periodo molto più tardo rispetto a quello sostenuto da Morlet e da Reinach, ma certo non moderno. I test di datazione furono eseguiti in numerosi laboratori, perciò un semplice errore sembra improbabile. Gli archeologi avrebbero accettato di essersi sbagliati?
Non vi erano probabilità che lo facessero, poiché i reperti di Glozel sembravano ancora meno degni di fede dopo mezzo secolo di ulteriori ricerche dal periodo del loro rinvenimento. Nessun esempio di tavole incise o di ceramiche come quelle di Glozel era stato portato alla luce in altri luoghi della Francia, perciò risultavano ancora più anomale. Inoltre, i nuovi dati erano ancor meno credibili dei precedenti. L’archeologia della Gallia celtica o romana era molto conosciuta e gli oggetti del sito non vi appartenevano. Olwyn Brogan, nota autorità del tempo in materia di archeologia, confermò tutto questo dopo aver esaminato la collezione di Glozel: “Ciò che non riesco a comprendere è che stando ai dati della termoluminescenza, dovremmo trovare nel sito cocci o altri oggetti celtici e/o gallo-romanici. Ma nel museo che ho visitato non ne ho visto alcuno“. Altri reperti vennero fatti risalire al Medioevo, ma questi potrebbero essere appartenuti alla fornace originaria usata per il vetro. Nonostante le ulteriori indagini da parte francese, non si è ancora giunti ad alcuna soluzione, a distanza di un secolo l’enigma dei ritrovamenti di Glozel rimane ancora un mistero.